Chiara Murrone, ipovedente fin dalla nascita a causa di una patologia genetica sconosciuta che le ha danneggiato la retina, si è laureata a luglio con il massimo dei voti alla facoltà di giurisprudenza di Varese. Al suo fianco, anche il giorno della proclamazione come ci ha raccontato in questa intervista, il suo fidato e fedele amico a 4 zampe Igor, il cane guida che le ha dato nuove speranze per il futuro.
Chi è Chiara Murrone? Come ti descriveresti?
«Sono una ragazza molto attiva, suono la batteria in una band, faccio sport e mi piace molto uscire con gli amici – si ferma per qualche secondo, poi con la sua voce timida a tratti dolce riparte – l’unica cosa è che non è sempre semplice fare tutte le cose che mi piacciono, perché questa malattia che ho fin dalla nascita mi limita molto.
Inizialmente però questa condizione mi permetteva, quando c’era luce, di vedere almeno un ventesimo. Due anni fa, invece, ho iniziato a peggiorare anche se i dottori mi avevano detto che non sarebbe successo nel mio caso.
Più avanti abbiamo scoperto che avevano sbagliato diagnosi. Adesso, quando c’è la luce non vedo più niente, invece al buio riesco a vedere un ventesimo, cioè riesco a distinguere le sagome degli oggetti e le ombre.
Questa situazione mi ha buttato giù, perché vorrei essere più autonoma, vorrei poter prendere la macchina e guidare. La vicinanza del mio cane Igor, però, mi aiuta a fare tante cose e quindi mi tira su di morale».
Visto che hai parlato del tuo cane guida Igor, cosa rappresenta per te?
«Igor è un labrador di 7 anni, è sempre con me, è presente in tutti i momenti della mia vita, mi aiuta a fare qualsiasi cosa. Sta con me, ogni momento della mia vita, mi aiuta a fare qualsiasi cosa anche quelle che mi risulterebbe veramente difficile portare a termine senza di lui.
Spesso mi butto giù di morale ma poi penso che, se non fossi in questa situazione, non l’avrei mai conosciuto e mi ritorna il buon umore. Igor sente i miei stati d’animo, ad esempio quando sono triste lui se ne accorge e viene vicino e mi coccola. Siamo in simbiosi, mi sento una cosa sola con lui. Prima di lui non riuscivo a fare molte cose, è la mia salvezza».
Come è stato per te questo percorso universitario? Cosa rappresenta questa laurea?
«Mi piace molto studiare e mi ha aiutato davvero tanto. Considera il fatto che ci mettevo il doppio degli altri: mentre loro ci mettevano un mese, io dovevo organizzarmi già prima che iniziassero le lezioni.
Mi procuravo i libri prima e iniziavo a studiare con molto anticipo. Spesso mi buttavo giù di morale perché non sempre trovavo il materiale per farlo, di alcuni libri non c’era la versione con le audiocassette e quindi, per ogni materia, dovevo adottare una strategia diversa.
La mia fortuna è che ho altre capacità, riesco così a compensare il fatto che non ho gli occhi per vedere: ho capacità organizzative, riesco a capire le cose velocemente e ho una buona memoria.
Una delle mie soddisfazioni più grandi è il fatto che solo io e due miei compagni ci siamo riusciti a laureare a luglio, in corso. Tutti gli altri laureati in quella sessione erano fuori corso.
Tutto il mio impegno, la fatica e gli sforzi che ho fatto in questi anni sono valsi la pena. Adesso sto pensando a cosa fare, mi piacerebbe entrare in Magistratura solo che il percorso è molto lungo, sicuramente voglio continuare ma devo ancora capire cosa fare.
Devo dire che anche l’università Insubria mi ha sempre aiutato, ho sempre avuto tutti i sostegni per disabili. Ad esempio, spesso mi convertivano gli esami scritti in orale. Alle superiori spesso e volentieri dovevo lottare per avere degli aiuti, come avere del tempo in più per fare un esame».
Hai mai avuto momenti di sconforto in questi anni di studio?
«Sì, soprattutto alle superiori, perché i professori mi dicevano: ‘Sei brava e quindi non hai bisogno di essere agevolata’. Già ai tempi ero testarda e quindi lottavo con i professori. Però, alla fine, anche in quel caso sono riuscita a uscire con il voto più alto del mio corso.
All’università, fino al quarto anno, non ho mai avuto problemi. Poi mi è peggiorata la vista e quindi ho cominciato ad avere più difficoltà con lo studio però ho sempre continuato a studiare tanto e, alla fine, riuscivo a terminare gli esami nella sessione di giugno.
L’estate però l’ho passata male, sono entrata in uno stato di depressione: non volevo più andare avanti con gli studi e spesso non volevo nemmeno più vivere. Avevo gli occhi che mi facevano davvero male, quando guardavo la luce vedevo tutto bianco e mi bruciavano gli occhi e questa cosa mi ha davvero buttato giù.
I miei pensieri erano quasi sempre negativi, soprattutto quando riguardavano il mio futuro dopo l’università. Mi chiedevo cosa potessi fare, come potessi andare avanti. Con la vicinanza della mia famiglia, degli amici e del mio cane Igor all’inizio del semestre del quinto anno sono riuscita a superare questa crisi.
Ho riorganizzato la mia vita e mi sono adattata a questa nuova situazione. Non sapevo che sarei peggiorata e quindi, psicologicamente, non ero pronta. Ancora adesso non si è capito cosa io abbia, però più di così non posso peggiorare».
Nella tua vita hai mai subito discriminazioni?
«Di discriminazioni purtroppo se ne subiscono tutti i giorni, soprattutto perché la gente non capisce che Igor per me non è solo un cane ma una mia necessaria parte integrante.
Mi è capitato di entrare nei negozi e non volevano fare entrare Igor, anche se poi spiegavo che è un cane guida e quindi la legge prevede che io sia accompagnata da lui.
Spesso i gestori non vogliono sentire ragioni. Altre volte mi è capitato di dover cambiare albergo, talvolta arrivo anche a dover discutere. Per esempio, ricordo un episodio in cui mi è capitato di entrare in un supermercato con il cane e un uomo ha iniziato a protestare, ritenendo non fosse giusto che il suo cane non potesse entrare e il mio sì, anche se gli avevo spiegato che il mio cane è cane guida. Lo stesso, quell’uomo non voleva sentire ragioni».
Hai una migliore amica? Cosa rappresenta per te?
«Ho una migliore amica e si chiama Carmen, ci conosciamo fin dalle scuole medie. Lei è arrivata al secondo anno, ha fatto fatica ad integrarsi perché è difficile entrare in un gruppo di persone che si conoscono già, soprattutto a quell’età. Anche io, quando io frequentavo la scuola, ho avuto un po’ di problemi con i miei compagni perché a quell’età i ragazzini sono un po’ ignoranti. Infatti, ero lasciata in disparte per il mio problema della vista.
Inizialmente Carmen non aveva compreso che io fossi ipovedente, quindi non capiva alcuni miei comportamenti come, ad esempio, il fatto che io stessi molto vicina quando le parlassi. Durante il periodo scolastico io e Carmen ci siamo difese a vicenda, la nostra è un’amicizia che dura quindici anni.
Tuttavia, se prima eravamo sempre insieme, crescendo ci siamo separate un po’, io per lo studio e lei per il lavoro. Anche se ci vediamo un po’ meno, io e lei continuiamo a sostenerci sempre. Alla mia laurea all’ultimo momento le hanno detto che doveva lavorare e quindi non sarebbe potuta venire. Carmen però è venuta lo stesso. Non smetterò mai di ringraziarla per quello che ha fatto per me, è una delle persone più importanti della mia vita».
Cosa rappresentano per te la musica e la tua band?
«Suono da quando ho 14 anni, quindi da dieci anni. Durante l’ultimo anno e mezzo ho dovuto abbandonare la mia passione per la musica, in particolare per la batteria, perché non riuscivo a dedicarmi sia allo studio che alla musica. Dopo la laurea ho ripreso a suonare, perché mi piace davvero tanto e mi mancava molto.
Quando ho sparso la voce che stavo cercando una band per suonare, una mia amica mi ha telefonato dicendomi che avevano bisogno di una batterista per un concerto e io ho accettato all’istante. Per me la band rappresenta uno spazio mio, un mondo nel quale posso scaricarmi, ed è un modo diverso di stare con gli amici. La musica mi aiuta a esprimermi, quando suono butto fuori tutte le mie sofferenze e, dopo che ho finito di suonare, mi sento molto meglio».
La tua canzone preferita?
«La mia canzone preferita è Show Me the Meaning of Being Lonely dei Backstreet Boys. Ha più significati per me, rappresenta sia le sofferenze delle persone, sia l’amore e la felicità. Quando mi sento un po’ giù la ascolto e mi medesimo in essa, perché mi immagino di urlare al mondo delle mie sofferenze e simultaneamente di immergermi in esso».