Teatro e disabilità, quando la rappresentazione teatrale valorizza le singole abilità e mette in luce (positivamente) le differenze. Una riflessione in occasione della Giornata Mondiale del Teatro.
Se si prende in considerazione la dinamica di interazione sociale che si crea in un gruppo di persone accomunate da una medesima passione, come può esserlo quella per il teatro, si può capire come quest’ultimo sia efficace per più motivi.
Il teatro, sia permettendo di conoscere nuove persone che hanno un medesimo interesse, sia facendo sì che venga messo in secondo piano l’aspetto che riguarda la dis-abilità intesa come una distanza da un’abilità idealmente standard, non solo valorizza positivamente le differenze di ciascun membro del gruppo che prende parte a un’azione in prima persona per la concretizzazione di un obiettivo comune, ma permette che questo obiettivo sia raggiunto con successo. Questo quanto ha dimostrato la riuscita dello spettacolo “Punti di vista”, la rappresentazione messa in scena dalla compagnia “La Pel d’Oca” all’università di Verona, il 23 febbraio scorso, sotto la regia di Nicoletta Vicentini. “Punti di vista”, infatti, è riuscito a colpire per la disarmante bravura di un eterogeneo gruppo di attori accomunati da una parola: disabilità.
Enfatizzando quindi le abilità del singolo individuo che coopera con altri individui al fine di dar vita a uno spettacolo, il teatro si rivela essere uno strumento utile poiché si focalizza sulla pars construens, e permette ad ognuno di esprimere tramite l’interpretazione di un ruolo, l’interpretazione di una parte della propria identità. Infatti, l’identità non è molto diversa da un ruolo che si interpreta su un palco, ma attraverso l’atto catartico che permette il teatro, quest’ultima riacquista un senso grazie all’instaurazione della relazione con l’Altro. Altro del quale si arriva a riconoscere il fondamentale ruolo, all’interno di uno spettacolo che sarebbe diverso senza la sua necessaria presenza.
Proseguendo in una riflessione sulla relazione e la reciprocità, il teatro insegna quindi che l’Altro è elemento indispensabile non da integrare o definire, quanto più da accogliere e riconoscere nella sua intrinseca unicità, all’interno di un gruppo che accomuna persone diversamente simili. Interpretare un personaggio, come hanno fatto gli abilissimi attori del gruppo “La Pel d’Oca”, permette forse di diventare l’Altro da sé che si dovrebbe sempre cercare di essere e permette forse di capire che i pregiudizi sulla dis-abilità vengono meno nel momento in cui ci si sente abili e si viene visti come tali.
Dis-abile diventa quindi solo una parola che indica l’abilità ancora da trovare, e il teatro con la sua eterogeneità permette che le diverse abilità dell’Io e dell’Altro li ridefiniscano secondo una prospettiva positiva, nella quale diversamente è un termine che apporta un contributo significativo, ma si eclissa per permettere all’abilità di emergere in tutte le sue diverse forme.
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