Dalla Costa d’Avorio all’Italia, passando per le sofferenze della Libia e un marito e un parto indesiderati. Ecco il racconto di una ragazza ventenne, immigrata dall’Africa circa un anno fa. Ora è sotto la protezione del centro per donne e bambini immigrati di Taino (Varese). Quando le abbiamo chiesto di raccontarci la sua storia, ci ha svelato – tutto d’un fiato ma non senza difficoltà emotiva – la sua esperienza.
Intervista realizzata in collaborazione con Françoise Kofache Aissatou
«Sono sono una ragazza che viene dalla Costa d’Avorio, ho 20 anni e vivo in Italia da un anno. I miei genitori, musulmani radicali e poveri, mi hanno costretta a sposare un uomo anziano ricco. Non ho mai voluto questo matrimonio anche perché quell’uomo aveva già 2 mogli e i figli della mia età e anche più grandi.
Ero sempre minacciata da mio papà. Mi picchiava e mi ricordava che si trattava di un uomo ricco: “Tu devi andare, se no non sarai più la mia figlia – diceva – ti amazzerò e metterò tua mamma fuori da casa mia“. Così, a questo punto, ho accettato e sono andata con quell’uomo. Dopo qualque mese, però, sono scapata in Burkina.
Quindi mio marito ha minacciato mio papà di restituire il soldi dati in occasione del matrimonio. Così mio papà ha iniziato a cercarmi ovunque, pagando la gente per ritrovarmi. Mi hanno ritrovata e riportata da mio marito: in quel momento ero già incinta. Non è stato facile per me. Quand è arrivato il momento del parto, non riuscivo neanche a fare nascere il mio bambino. Ero troppo giovane e ho sofferto anche perché ho perso tanto sangue e mi hanno ricoverata. Nonostante tutta questa sofferenza, mio marito diceva che ero bugiarda, diceva che non era vero che ero malata.
Tornata a casa, un giorno, quando stavo meglio, ho rubato soldi a mio marito, ho preso con me il bambino e sono andata da mia mamma e le ho detto: “Mamma, tienimi il bambino, arrivo subito“. Da quel giorno non sono più ritornata in Costa d’Avorio. L’Italia non era la mia destinazione, volevo soltanto scappare.
Sono passata in Burkina, in Niger e in Libia. Del viaggio ricordo il deserto che non finiva più. Poi, in Libia, non è stato facile. Ho sofferto tanti maltratamenti, ho patito la fame e sono stata picchiata a morte. Poi, un giorno, qualcuno ci ha portato in riva al mare. C’era una barchetta e sono salite tante persone. Quando abbiamo visto il battello grande eravamo tutti felici. In Italia, sono lontana da tutti pericoli. Mi sento bene. Grazie».