La scorsa estate l’ho letteralmente rincorso per due mesi lungo i corridoi del centro di riabilitazione dove era ricoverato anche lui, come la mia Simona, per prendersi cura di un corpo spossato dal progredire della Sclerosi Multipla. “Prima o poi ci sediamo e mi racconti la tua storia vero?”. “P’fforza” – mi ha risposto -. “Quando vuoi, tanto io sono già seduto”. È fatto così Andrea Trisciuoglio, 42 anni e orgogliosamente di Foggia: ironia pulita e sorriso perenne, anche la mattina prima della “terapia”.
Ogni tanto andavo a recuperarlo in qualche reparto, soprattutto in quello dei bambini dove si “perdeva” dimenticando gli appuntamenti con i fisioterapisti, quindi ci toccava fare le corse con la carrozzina su e giù tra ascensori e interminabili corridoi per recuperare il ritardo. Lo incontravo al mattino presto vicino all’ingresso della struttura con la sua prima “canna terapeutica” sulle ginocchia. Attendeva qualcuno che l’accendesse perché le sue braccia non smettevano di tremare per gli spasmi dovuti alla malattia, così che puntualmente l’accendino finiva lanciato a qualche metro di distanza. Dopo le prime boccate il sussulto cessava, i muscoli si rilassavano e Andrea riusciva a distendere i nervi del volto. Da quel momento potevamo affrontare ogni impresa, persino bere un caffè al bar senza che Andrea dovesse vivere l’umiliazione di rovesciarselo addosso.
All’esordio della malattia, nel 2006, Andrea ha seguito la trafila comune a molti pazienti affetti da patologie neurodegenerative affidandosi ai farmaci tradizionali attualmente in commercio, ma presto ha dovuto fare i conti con disturbi ed effetti collaterali: “300 punture di interferone farebbero soffrire anche il più sano di noi di incontinenza, febbre, nausea, tremori fino alla più banale delle conseguenze, ovvero diventare ago fobici”.
Supportato dalla famiglia e dalla sua Anna, Andrea ha guardato oltre. Ha letto e si è documentato sulle cure e i risultati delle ricerche mediche riguardo alla cannabis terapeutica all’estero. In un primo momento si rese conto che si trovava solo al mercato nero la soluzione, ma non era quello che voleva: lui voleva sostenere il suo diritto alla luce del sole senza delinquere.
Fortunatamente conobbe alcuni medici che gli spiegarono il percorso legale per ottenere medicinali a base di canapa: doveva “semplicemente” trovare un dottore che gliela prescrivesse, convincere il comitato etico di un intero ospedale, il primario, il direttore sanitario, l’ufficio patrimonio e la farmacia. Un percorso ad ostacoli, che alla fine avrebbe rappresentato un costo di 600 euro al mese per il trattamento. Troppo caro il prezzo da pagare per il suo diritto alle cure. Un’odissea per tanta gente disperata dalla carenza di quello che è a tutti gli effetti un medicinale per la cura di patologie gravissime.
Poche le alternative per ottenere “il farmaco”: coltivi in proprio le piantine o segui tutto l’allucinante iter istituzionale. Nel primo caso sei illegale, nel secondo ti arrendi per sfinimento. “Io sono disabile e non lavoro, dove li trovo 600 euro per procedere legalmente?”. Andrea Trisciuoglio ha scovato la terza via, quella che comporta il dialogo con le istituzioni. Insieme ad altri pazienti-impazienti ha fondato a Racale, nel Salento, il primo cannabis social club d’Italia dove si organizza la coltivazione collettiva di cannabis prodotta esclusivamente per uso terapeutico. Nato da malati e rivolto ai malati, la missione di “LapianTiamo” è un messaggio d’amore, di rispetto e di condivisione verso i malati e di sostegno al fine di alleviare le sofferenze di coloro che, affetti da malattie fortemente invalidanti, non chiedono altro che una qualità di vita migliore. In ciò la cannabis ha dimostrato ampiamente di poterci riuscire. L’impaziente Andrea, già fortemente provato dalla malattia, ha avuto l’audacia di scavalcare con il dialogo ogni forma di proibizionismo che rappresentasse un ostacolo alla propria libertà di scelta. Una scelta radicale per rivendicare il diritto alla libertà di cura, più che una battaglia “una questione di logica”.
Una logica tornata recentemente d’attualità. Nei giorni scorsi l’Onu ha riconosciuto le proprietà terapeutiche della cannabis che ora non fa più parte delle sostanze ritenute pericolose mandando così in fumo l’ultimo pregiudizio sulla sostanza più discussa di sempre. In particolare è stata decisa la declassificazione della sostanza dalla tabella nella quale si trovano sostanze come eroina e cocaina riconoscendone il valore terapeutico. Un piccolo passo che porterà alla ripresa di un dibattito che dura da decenni, di cui il radicale, cattolico, antiproibizionista e precursore dei tempi Andrea Trisciuoglio è l’emblema.
Con un tempismo perfetto è appena uscito “Da radical chic a radical choc – cannabis e pregiudizi” scritto a quattro mani dallo stesso Andrea Trisciuoglio e dal giornalista Emilio Grimaldi. La prefazione è di Rita Bernardini, la leader radicale in sciopero della fame dal 10 novembre per i diritti delle persone detenute. L’ex deputata, che ha dato anima e corpo alla lotta nonviolenta e alla disobbedienza civile, si è più volte autodenunciata chiedendo di essere arrestata in quanto da anni coltiva sul balcone di casa piantine di marijuana che poi puntualmente cede gratuitamente alle persone malate. Si è autodenunciato per la stessa ragione anche Matteo Mainardi che con l’associazione Luca Coscioni si occupa di fine vita e legalizzazione della cannabis e cura la postfazione del libro pubblicato da Officine Editoriali da Cleto di Marco Marchese. Quella di Andrea è una storia di dolore, sorrisi e amore per la vita. Un concentrato di caparbietà, passione e coerenza, e non è un caso se già dai tempi della scuola era stato soprannominato HiFi, alta fedeltà. Avrei voluto sedermi con lui per intervistarlo, poi mi ha perso tre accendini in tre giorni. Alla fine ho rinunciato all’intervista, ma ho trovato un amico.