Luigi Lupo sulla Cultura e il Digitale: il podcast e la centralità del contenuto

Luigi Lupo autore del libro “Podcasting, la radio di contenuto torna sul web” (Meltemi editore 2019) ha affrontato una disamina acuta e puntuale sull’ancora relativamente misconosciuto mondo del Podcast, partendo dalla riflessione sul ruolo che questa “nuova” forma di creazione dei contenuti potrà ricoprire nell’innovare il mondo dell’informazione. Inserendo il podcast all’interno di una storia troppo recente per essere scritta, ma anche ponendosi in continuità con un’altra storia, quella della radio, Lupo sottolinea le molteplici potenzialità del podcast.

Il contenuto torna quindi al centro, l’ascolto si ritaglia uno spazio laddove la vista impera, l’informazione ha l’opportunità di essere commentata. Quindi, della premessa democratica che ispirava la condivisione sul web e quella delle prime web radio, il podcast si pone come un erede che non ha la pretesa di sostituirsi ad altre forme, ma ha forse l’ambizione di diventarne una in un panorama culturale che ancora privilegia i numeri dell’infotainment a scapito dello slow-journalism

Puoi raccontarci chi e sei e come ti sei interessato al mondo dei podcast?

Sono un giornalista freelance, mi occupo di media e musica e da sempre nutro una grande passione per la radio, soprattutto quella parlata. Sin da ragazzino sono affascinato dai giornali-radio, dai programmi di informazione, da tutti gli scenari audio popolati da storie e racconti. Casualmente, nel 2015, ho letto un articolo che parlava di un podcast americano, “Serial”. L’ho ascoltato e ho ritrovato in questo formato tutte le mie passioni: il giornalismo lento e narrativo, gli intermezzi sonori, le voci.

La maggiore differenza tra radio e podcast riguarda il concetto di on-demand. La scelta di cosa ascoltare e quando farlo riporta al centro l’ascoltatore. Nonostante le critiche alla nostra epoca in cui da un lato siamo considerati consumatori passivi, la possibilità di scelta significa maggiore libertà, ne consegue una maggiore domanda di contenuti diversificati a livello culturale?

Il podcast è uno strumento altamente verticale. Per le sue caratteristiche, in particolare la possibilità di diffonderlo sul web e di fruirlo on-demand e dove si vuole, può essere utilizzato per diverse tipologie di racconto e di contenuto culturale.  La domanda e l’offerta, una logica che riguarda tutto il mondo digitale, sono potenzialmente infinite. E poi, un po’ come per i blog, ognuno può avere un podcast per parlare di ciò che vuole: rispetto all’apertura di una radio, in fm o sul web, è un mezzo che richiede meno costi ma di certo un grande impegno per realizzare un prodotto che funzioni. 

Il podcast è uno spazio che interessa i giovani e anche i più giovani, i cosiddetti “heavy user” appartengono infatti alla Generazione Z e ai Millenials. È possibile che uno spazio dedicato con contenuti mirati come quello dei podcast sia interessante perché su un altro fronte queste fasce d’età si sentano escluse e non rappresentate?

Sicuramente il podcast raggiunge quella fetta di pubblico nativo di digitale che, purtroppo, ha perso l’abitudine alla lettura, non solo dei libri ma anche delle riviste, dei magazine, gli spazi dove si realizza l’approfondimento giornalistico. Con i podcast, che si possono ascoltare con le stesse modalità con cui ci si approccia alla musica, notizie, storie e discussioni arrivano più facilmente in qualsiasi luogo ci si trovi, liberando l’immaginazione che deriva dall’ascolto.

Dalla storia (Bistory) all’editoria (Abisso Editoriale) alla scienza (Scientificast), alla politica americana (Da Costa a Costa), alcuni podcast si configurano come lezioni con tanto di bibliografia la cui mole di informazioni è dissimulata sotto forma di amichevole chiacchierata. I podcast secondo te potrebbero influenzare il mondo dell’istruzione o lo stanno già facendo?

Certamente, podcast di grande qualità, come quelli che hai citato, hanno alle spalle un ampio lavoro di ricerca e di documentazione come nei migliori prodotti editoriali. Ho notato, per esempio, che tantissimi studenti ascoltano “Da Costa a Costa” per restare aggiornati su tematiche che trattano sui banchi dell’università. Ragazzi che,  come dicevo in precedenza, trovano nel podcast una voce confidenziale come se fosse un amico che racconta loro uno scenario politico davanti a un caffè. Con l’emergenza Covid-19, che impedisce le lezioni dal vivo, i podcast si sono dimostrato uno strumento potente da affiancare alla didattica a distanza. Sono nati numerosi lavori audio – tra cui “Maturadio” di Radio Rai – proprio per accompagnare gli studenti nella preparazione degli esami di maturità.

Chi lavora in radio è spesso considerato un professionista del settore, i podcaster invece spesso possono essere professionisti di un settore che si cimentano in questa forma. Come figura professionale che potrebbe svilupparsi, le competenze di una persona che sviluppa un podcast devono essere molte: dallo storytelling, al marketing. Il contenuto di qualità richiede però tempo e ricerca. Da un lato qualità di prodotti di nicchia che necessitano del marketing, dall’altro logiche numeriche che rendono difficile emergere per questi stessi prodotti e privilegiano quelli più popolari. Dato che il podcast è una forma ancora in fase di evoluzione pensi che il “contenuto di qualità” possa dipendere dal fatto che il ritorno economico è ancora piuttosto scarso e la produzione del podcast consenta una maggiore libertà? Come sono in relazione questi due aspetti: quello economico e quello della libertà di produzione?

E’ una dinamica che, a mio parere, riguarda gran parte del mondo digitale. Pensiamo alle riviste online indipendenti: ce ne sono tante che fanno un lavoro di qualità, con un approccio molto professionale, ma, non avendo un editore alle spalle, faticano a compensare i costi del lavoro dei redattori e ad avere piani di marketing. Sono convinto, però, che la qualità paghi sempre: anche podcast nati tra le mura di una cameretta, ma con un’idea ben precisa di narrazione e struttura sonora, possono o affacciarsi alle piattaforme editorial o persino ai brand, da cui  ricevere sostegno, oppure restare “libere” ma crearsi un pubblico affezionato. 

Luigi Lupo copertina libro Podcasting, La radio di contenuto ritorna sul web

Nella nostra società siamo abbastanza schiavi dell’immagine, ascoltare in senso letterale e metaforico rimanda a una dimensione di intimità e nella quale possiamo restare in silenzio. Cosa pensi dell’importanza dell’ascolto?

Sono fortemente convinto delle potenzialità dell’ascolto. In un momento storico in cui siamo continuamente inondati di immagini tra le ore trascorse sulle bacheche dei social o davanti alla tv, recuperare una dimensione come quella dell’ascolto, considerata spesso inferiore rispetto al visivo, significa ritrovare il fascino dell’immaginazione, del contatto intimo che si instaura tramite la voce, del tempo sospeso. Viviamo in relazione con gli altri soprattutto grazie alla capacità di parlare e soprattutto di ascoltare. I podcast riportano nella sfera mediatica la prima forma di contatto umano tra le persone.  

Di solito chiediamo la canzone preferita, ma non possiamo non chiedere: il tuo podcast preferito?

Negli ultimi giorni è diventato “Wind Of Change”, un podcast in stile documentario – il genere che più preferisco – in cui il giornalista del New Yorker, Patrick Radden Keefe, indaga sulle origini del famoso brano degli Scorpions, stimolato da una voce secondo cui sia stato ideato dalla CIA. È una serie avvincente, ricca di pathos, di temi interessanti, come il complottismo, e di un ottimo sound-design

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