Guardare le cose da una prospettiva diversa è un dono che non dovremmo mai smettere di fare a noi stessi. Ascoltare esperienze più o meno lontane dalla nostra quotidianità ci arricchisce profondamente: non si può che pensare questo di fronte alle parole di Elena Tommaseo, italiana trapiantata in India ormai da anni che ci ha regalato il suo sguardo in merito all’emergenza sanitaria che sta purtroppo investendo tutto il mondo.
Come, un paese così geograficamente distante dall’Italia, sta vivendo un periodo che nessuno si sarebbe mai aspettato di dover affrontare? Quali le misure preventive adottate, quali le condizioni degli abitanti?
“Il sole è una stella che scalda ed abbronza
Così come secca e brucia i raccolti
La pioggia intristisce e rallenta il traffico
Ma lava e disseta la terra”.
Così inizia una canzone di Niccolò Fabi che, nemmeno a farlo a posta, si intitola Oriente e che subito ci fa capire quanto raramente le cose siano completamente bianche e nere.
Con la speranza di conoscere un po’ meglio quello che c’è fuori dai nostri confini, ma anche, perché no, quello che c’è proprio intorno a noi, vi lasciamo alle parole che, proprio come un dono, ci ha offerto Elena.
Presentati: cosa diresti a chi ti chiede “Chi è Elena”? Cosa ti ha portato in India, e cosa ti ha regalato tanto da essere ormai diventato parte di te?”? Che dici?
«Sono nata a Venezia nel 1964, mi sono trasferita a Milano a studiare Graphic design nel 1985 e ho lavorato lì, in questo settore, fino al 2010. Durante un viaggio in India nel 1997 ho conosciuto quello che poi, nel 2002, è diventato mio marito. Da allora fino al 2010 sono quindi tornata in India due volte all’anno, fermandomi per un mese, per poi trasferirmici definitivamente. Qualche anno dopo c’è stata la separazione da mio marito ma, ciononostante, ho deciso di rimanere in India.
L’India mi ha regalato tanto, forse me stessa, perché nonostante il matrimonio sia terminato, una volta superato il periodo di “lutto” dato dalla separazione, non ho pensato di tornare in Italia.
Qui mi sento veramente a casa, ho percepito di avere trovato un equilibrio che in Italia non avevo e, nonostante ci siano dei contro, l’insieme dei pro che mi spinge a restare qui è decisamente vincente».
L’India è una federazione di stati: La prima domanda che mi viene da farti è se le restrizioni sono diverse di Stato in Stato; di città in città, o è stata emanata una regola univoca interna a tutta la Repubblica?
«In India in questo momento tutti ci atteniamo al dictat del Primo Ministro Narendra Damodardas Modi, ma rispetto alle regole da lui stabilite ci sono delle “eccezioni”: già prima che il termine del lockdown venisse rimandato al 3 maggio, infatti, alcuni paesi si erano mossi in anticipo stabilendo, in autonomia, che la durata dell’isolamento dovesse essere estesa a questa data.
Le disposizioni del governo centrale valgono quindi per tutti, ma alcuni Stati stanno agendo in maniera precauzionale.
Il vero problema, qui, è la mancanza di comunicazione: ci sono sì, discorsi ufficiali, ma manca chiarezza sulla gestione del lockdown stesso, che ognuno, purtroppo, interpreta diversamente.
In alcune zone dell’India ci sono forze dell’ordine che arrivano a usare la violenza fisica sulle persone che trovano in strada, per esempio i venditori ambulanti. All’inizio dell’emergenza, poi, non era stato emesso alcun divieto sulle consegne a domicilio dei generi alimentari, ma è capitato che i runner abbiano anch’essi subìto violenza fisica da parte della polizia. Inoltre, si vedono i lavoratori a giornata fuggire dai grandi centri per raggiungere luoghi più periferici, non avendo qui la possibilità di lavorare e di mangiare.
Queste notizie non vengono date da canali ufficiali e mancano anche informazioni concrete per poter tranquillizzare quelle categorie di persone meno fortunate e agiate, tanto su un piano logistico, quanto su un piano sanitario e lavorativo.
In definitiva, a meno che non vengano notificate privatamente informazioni ai singoli chief ministers dei vari stati indiani, non esistono linee guida sulla gestione del lockdown fatto salvo per quanto concerne la data in cui dovrebbe concludersi».
Abiti a Nuova Delhi: nello specifico in cosa consistono le restrizioni nella capitale, nonché una delle città più popolose del mondo?
«Nuova Delhi è uno Stato a sé pertanto ha un suo Primo Ministro e non è sottoposta al governo centrale. La polizia presente sul territorio, invece, dipende proprio da quest’ultimo.
Già prima dell’inizio del lockdown del 24 marzo venivano disinfettate le metropolitane, erano offerti servizi di disinfezione gratuita agli auto rickshaw (si tratta di rickshaw motorizzati, molto frequenti in India come mezzi di trasporto), era consigliato di mantenere il distanziamento sociale ed erano vietati assembramenti (eccezion fatta per i matrimoni, che hanno continuato a poter essere celebrati) in un primo momento, con un limite di persone che non doveva superare le duemila unità, diventato poi di cinquecento fino a oggi, che è di cinque.
Attualmente gli unici negozi aperti sono quelli che vendono generi alimentari. Restano attivi anche gli ambulatori, le farmacie, e i veterinari.
Improvvisamente, il 24 marzo, si sono fermati anche tutti i trasporti pubblici e i diversi servizi di taxi privati, creando una situazione di disagio non indifferente alle persone, soprattutto ai venditori ambulanti, che si trovavano nei centri abitati e avevano necessità di rientrare nei villaggi.
Poi, dopo qualche giorno e solo per un periodo limitato di poche ore, è stato attivato qualche servizio di autobus a lunga percorrenza che permettesse a queste persone di rincasare, affrontando viaggi anche di dieci o dodici ore.
Ovviamente l’operazione ha arrecato diversi disagi, costringendo molte persone a stare vicine senza rispettare le distanze di sicurezza.
Oggi, di nuovo, i servizi di trasporto pubblico sono inattivi e inagibili.
Dopo i primi giorni di assestamento, nei supermercati sono comparsi dei cerchi disegnati sul pavimento per garantire la distanza di sicurezza di un metro e mezzo tra le persone.
Le case in cui c’è qualche persona risultata positiva al COVID-19 vengono segnalate tramite cartelloni posti al di fuori dell’abitazione.
Da qualche giorno, inoltre, alcune zone sono sigillate: se in un quartiere viene riscontrato qualche caso positivo, oltre alla segnalazione tramite cartellone, viene anche chiusa l’area che circonda la casa abitata dalla persona malata. Chi entra in questa zona non può uscire di casa e riceve, con cadenza settimanale, la spesa (riso, farina, lenticchie, latte) a domicilio, anche se non sono totalmente chiare le modalità con cui viene erogato questo servizio».
In Italia hai lasciato degli affetti? Ti pesa molto la lontananza?
«Quando sono partita dall’Italia ho lasciato lì la mia famiglia di origine, i miei amici storici e amicizie più recenti ma comunque importanti.
Non soffro particolarmente la nostalgia, ma allo stesso tempo riusciamo a sopportare molto più facilmente la distanza grazie a internet e alla possibilità di chiamarci e videochiamarci (anche se io non amo stare a lungo al telefono!).
Mi manca vedere le persone fisicamente e dare loro abbracci, ma è anche vero che sto molto più tempo coi miei in questi anni rispetto al passato.
Quando torno in Italia, infatti, mi dedico totalmente ai miei affetti, ai miei genitori in primis, e effettivamente trascorro molto più tempo con loro oggi rispetto a quando vivevamo nella stessa nazione.
Ho avuto anche modo di vedere quali amicizie si sono perse con la distanza, quali si sono saldate, e quali addirittura sono rinate. Tornando nei luoghi della mia infanzia, infatti, ho avuto modo di riscoprire le persone con cui passavo più tempo da bambina.
Vedendoci in periodi più brevi ma in maniera più intensa, con queste persone non si condivide la quotidianità, e questo rafforza i rapporti portando a vivere insieme nuove cose.
In più, negli anni ho fatto amicizie anche qui dove vivo e ho molti affetti con cui condividere le mie idee».
Quali sono i vantaggi e gli svantaggi, per quello che hai potuto sentire, dello stare in India rispetto all’Italia?
«I vantaggi dello stare qui, nonostante non sia facile stare in India per una donna – soprattutto se autoctona – è che ho trovato, paradossalmente, maggiore libertà. Parlo di uno stato di libertà personale e interiore. Sto vivendo quello che chiamo “secondo tempo della mia vita”, più in linea con le mie inclinazioni. Ho cambiato totalmente stile di vita, lavoro, abitudini, alimentazione… Ho vissuto una sorta di rinascita e questo è per me un enorme vantaggio, che mi ha portato nuove energie e una spinta molto forte.
In Italia avevo perso l’entusiasmo per le cose che qui invece ho ritrovato.
Se infatti è vero che l’Italia è un paese più moderno, e questo è sicuramente un vantaggio del mio paese di nascita, è altrettanto vero che si è persa quella semplicità di poter vivere che qui in India ho ritrovato.
Dal 2011, poi, collaboro con un tour operator, e non faccio più un lavoro d’ufficio: questo mi permette di trascorrere molte ore all’aria aperta, accompagnando turisti italiani nelle varie città indiane.
In un certo senso ho quindi mantenuto un legame con le mie origini, stando per periodi piuttosto lunghi con persone provenienti dal mio stesso paese natale. Riesco facilmente a comprendere il sentire dei turisti, di cui capisco il modo di vedere quello che li circonda appena arrivati in India, avendo condiviso, anni fa, lo stesso punto di vista.
Per quanto invece riguarda gli svantaggi, ho notato una certa difficoltà nell’approfondire le amicizie. C’è molta affabilità ma al contempo i rapporti restano spesso superficiali. Lo svantaggio più grande però è la sensazione di non poter esprimere appieno il mio dissenso per quanto concerne alcuni temi politicizzati.
Il discorso relativo alla libertà di parola è molto complesso, e a maggior ragione per me, che non sono cittadina indiana. In quanto non cittadina indiana, per esempio, non ho il diritto di voto. Posso partecipare a manifestazioni politiche, ma esprimere la mia opinione rispetto a determinate tematiche può avere conseguenze molto forti, addirittura il rimpatrio. Situazioni del genere sono frustranti, proprio perché c’è in me un forte senso di appartenenza al posto in cui vivo e vorrei avere la possibilità di essere più attiva».
Parliamo di sanità: noi italiani siamo un popolo molto fortunato su questo fronte, ma quali sono le misure indiane? L’assistenza sanitaria è garantita a tutti o ci sono fasce della popolazione che sono svantaggiate per via della classe sociale e del reddito? Si sono registrati collassi delle strutture ospedaliere? Sempre a proposito di sanità, qui in Italia uno dei dati più discussi è proprio quello che riguarda i parametri di accesso al tampone: lì in India vengono fatti? In che caso?
«La sanità del paese è simile a quella americana: ci sono delle strutture governative, quindi pubbliche, ma anche ricoveri privati. Esistono delle gratuità per le fasce più povere, ma chi può permettersela – e fortunatamente le cifre sono piuttosto accessibili – paga un’assicurazione sanitaria.
Per quanto riguarda l’attuale emergenza sanitaria, nelle grandi città, come questa, siamo passati dalla possibilità di trattare il coronavirus data a una sola struttura per città, a un ampliamento di tale possibilità anche a strutture private più piccole.
Non c’è una corsa agli ospedali: i casi sono comunque in aumento.
C’è però da dire che i tamponi vengono fatti a pochissime persone, il che potrebbe essere la causa del grande divario tra i pochi positivi al virus e il grande numero di abitanti.
I tamponi sono gratuiti nelle strutture pubbliche, e a pagamento in quelle private, ma è stato imposto un prezzo massimo (che corrisponde a circa 45euro).
Due sono i criteri per aver accesso al tampone: essere sintomatico e avere una prescrizione medica. Per quanto riguarda i ventilatori, gli esperti dicono che in India ce ne sono circa trentamila in totale. Il numero è molto piccolo, se paragonato al fatto che gli abitanti superano il miliardo.
Anche le strutture sono poche se confrontate al numero di abitanti. Questo problema non si riscontra tanto nei grandi centri, quanto nei villaggi, che però sono pure i più popolati, dal momento che qui abita circa il 70% della popolazione indiana.
È proprio nei villaggi che mancano ospedali e medici, oltre che rassicurazione data alle persone che vivono qui e che si sono trovate, improvvisamente, bloccate e senza lavoro.
A ciò si aggiunge il fatto che nei centri, molte persone, soprattutto uomini che inviano i loro guadagni alle famiglie rimaste nei villaggi, non abitano in vere e proprie case ma in slums, o addirittura in strada ed è molto difficile pertanto rispettare le norme di sicurezza.
Problema simile a questo è quello che si riscontra nei centri di accoglienza, che sono in breve tempo stati raggiunti dalle persone che non sono riuscite a rientrare nei villaggi di appartenenza dopo la notizia del lockdown.
Insomma, da un lato c’è chi si trova a vivere una situazione privilegiata, in una casa, con delle regole da rispettare e soprattutto con la possibilità di rispettarle, dall’altro fa molto male vedere che ci sono persone che non godono di queste stesse possibilità e che vengono aiutate quasi esclusivamente da privati».
Qui sono state realizzate diverse iniziative: i balconi degli italiani si sono riempiti di cartelloni con frasi incoraggianti; sono stati aperti sportelli telefonici per poter parlare con uno psicologo in questo momento delicato; molti personaggi famosi stanno facendo compagnia ai loro seguaci con dirette social… In India ci sono iniziative simili? Chi, principalmente, le porta avanti?
«Ho notato che non ci sono molte iniziative.
Ci sono stati però due momenti di aggregazione simili a quelli proposti in Italia e in altri paesi europei: ci è stato chiesto, una prima volta, di uscire sui balconi, tutti alla stessa ora dello stesso giorno, per applaudire e ringraziare così il personale sanitario; e una seconda volta di uscire dalle nostre case, con le luci spente, portando con noi solo un cellulare o una candela o una torcia come unica fonte di illuminazione per ricordarci che Non siamo soli.
Ma di nuovo: c’è chi in realtà è stato totalmente abbandonato a sé stesso come ho detto, e non ha avuto garanzia di tutela alcuna. Trovo pertanto piuttosto incoerente dire che non siamo soli: molti lo sono, purtroppo».
Stando alle ricerche fatte nel corso degli anni una delle controversie del nostro Paese riguarda proprio la circolazione delle informazioni, e la libertà di stampa. Durante questa emergenza sanitaria, ogni sera, la Protezione Civile emette un bollettino ufficiale con i dati del giorno e online è possibile reperire informazioni ancora più dettagliate, relative, magari, alla propria città. In India qual è la situazione riguardo questa tematica?
«Dal punto di vista telematico l’India funziona bene. Sono offerti diversi servizi, come un’applicazione da scaricare, costantemente aggiornata sui dati, ulteriori applicazioni che danno informazioni sui luoghi in cui è possibile approvvigionarsi; e c’è un numero da chiamare in caso di emergenza.
Quando si fa una telefonata, c’è un messaggio registrato, prima che la persona all’altro capo del telefono risponda, che comunica le indicazioni da seguire per evitare il contagio (lavare le mani, indossare la mascherina, tenere le dovute distanze dal prossimo…).
Accedendo a internet, appare un banner, anch’esso con aggiornamenti in tempo reale sui dati sia a livello mondiale che locale.
Quello che manca, come detto, sono informazioni pratiche su come gestire la situazione, specialmente per quanto riguarda proprio le persone con meno agio di poter vivere in isolamento».
Qual è la tua canzone preferita?
«Non ti so rispondere. Ascolto musica di generi molto diversi tra loro, musica italiana e straniera, amo la musica!
Mi piacciono il jazz, Billie Holiday, i Queen, Bruce Springsteen…
Cambio genere in base al mio umore, quindi non riesco a darti un titolo di una canzone preferita.
Una cosa che però mi è venuta in mente è che quando ero bambina, con mio papà vidi al teatro La Fenice di Venezia, la Madama Butterfly di Puccini e da allora mi è rimasta una passione nell’ascoltare l’opera la domenica mattina… Quindi mi verrebbe da dirti questo genere!».