“Immaginaria è sempre magica”, scrive Cristina Zanetti, responsabile di “Immaginaria – International Film Festival of Lesbians & Other Rebellious Women” insieme a Debora Guma ed Elena Rossi.
L’abbiamo intervistata in vista del festival, che si terrà dal 1 al 4 ottobre 2020 presso il Nuovo Cinema Aquila a Roma (qui tutte le informazioni). La co-fondatrice ci racconta la genesi e la storia del festival, le prime dodici edizioni e la scomparsa prematura di una grande e carismatica leader: Marina Genovese.
Un festival, quello di Immaginaria, che ancora è necessario per molti motivi e che nel panorama culturale odierno non si rivolge solo alle donne lesbiche ma a tutte le donne. Infatti, Immaginaria è portato avanti da un team di donne, la proiezione dei film presenti nel festival sono diretti da donne e così lo sguardo è quello delle donne.
Citando Cristina, che con passione parla di questo progetto, “in un’epoca che presta ancora scarsa attenzione alle differenze di genere, dedicare il grande schermo alle donne lesbiche e a tutte le donne ribelli che con i loro stili di vita e la loro progettualità creano cultura, arte e imprenditoria alternative è il fulcro della proposta culturale, sociale e cinematografica di Immaginaria”.
Dall’invisibilità al rischio dell’oblio, fino alla scomparsa dalla “storia”, le donne sono la categoria che ha rivendicato di meno la propria voce, soprattutto le donne lesbiche. Vedersi su uno schermo è per alcune un grande momento per capire chi sono, chi potrebbero essere, chi avrebbero voluto essere.
Quindi, non resta altro che partecipare a questa stupenda iniziativa, Sguardi di Confine lo fa come media partner e augura al festival di avere un riconoscimento e un successo che assolutamente merita.
Immaginaria è un progetto nato da una comunità composta da sole donne in un luogo preciso, Bologna. Come succede che un gruppo di donne amiche decida di organizzare un festival? Qual è stata la scintilla?
Non eravamo amiche, provenivamo da ambienti di estrazione sociale diversa, avevamo gradi diversi di istruzione e di cultura, alcune provenivano dal femminismo, altre da movimenti politici giovanili e studenteschi, alcune dai partiti, altre semplicemente uscivano dalle loro case per la prima volta per incontrare altre donne, non eravamo neppure coetanee e non eravamo neppure tutte di Bologna, essendo una città universitaria che raccoglieva molte persone soprattutto dal Sud che venivano per studiare o per lavorare.
Ci univa l’unico comune denominatore di essere donne lesbiche in anni, gli anni ’90, in cui la parola era ancora un’onta e si viveva nell’anonimato e nell’invisibilità. Le ragazze che fra noi avevano già militato nei gruppi femministi, dove però le lesbiche erano minoritarie e invisibili per una sorta di non accettazione interna da parte delle eterosessuali, ci insegnarono a dare forma a un impegno politico, a renderci visibili non solo all’interno del movimento delle donne ma all’esterno, nella società.
Ci voleva del coraggio, e lo tirammo fuori. Cominciammo con l’organizzare incontri e feste per sole donne, creando spazi di aggregazione che allora non esistevano, e finimmo anche per finanziare un progetto che col passare del tempo si chiarì nelle nostre menti di cinefile appassionate.
Così nacque Immaginaria: Festival Internazionale di Cinema Lesbico, come lo chiamammo allora. L’operazione culturale e politica consisteva nello smantellare l’immaginario collettivo fatto di stereotipi ridicoli e oltraggiosi per sostituirli con immagini che rappresentassero davvero le nostre vite, a noi per prime che non trovavamo nel cinema mainstream racconti e modelli che ci corrispondessero.
Infatti, lo schermo era popolato da figure di lesbiche psichiatriche, depravate e delinquenti che alla fine facevano una brutta fine, sia perché gliela facevano fare, sia perché si suicidavano. Per troppo tempo sono state prese per oro colato le sceneggiature scritte da maschi imbevuti dei principi del patriarcato e quello che passava al cinema sembrava riprodurre la realtà.
Invece era il contrario, e abbiamo lottato con tutte le nostre forze per capovolgere la situazione. Non abbiamo mai messo in discussione il fatto che le narrazioni e le storie che ci propinavano non fossero il verbo divino ma solo le creature distorte di scrittori maschi, schiavi di visioni misogine e omo-lesbofobiche.
Bisognava rimettere al centro le donne vere, raccontate dalle donne. Dovevamo riappropriarci delle nostre narrazioni, narrandole noi stesse, a noi stesse. Il che significava reperire in giro per il mondo e proiettare film realizzati da registe donne sui temi che riguardavano le donne in tutti i paesi e in tutte le culture, con un occhio particolare all’universo lesbico, ancora negato, ancora nell’ombra.
In Italia non esisteva niente del genere e trovammo i primi film in Olanda, in seguito in Inghilterra e negli Stati Uniti e poi ovunque vivesse una donna che avesse avuto la perseveranza e il coraggio di portare alla luce una storia non raccontata e di riprodurla con i mezzi propri del cinema.
Li trovammo, i film concepiti e girati da registe donne, perché quello di cui c’era bisogno per bonificare l’immaginario collettivo era lo sguardo delle donne, il loro punto di vista, l’angolatura dalla quale guardavano il mondo in base alle loro sensibilità ed esperienze. Bisogna aggiungere che negli anni Novanta, Bologna era considerata la San Francisco italiana per l’apertura politica delle Istituzioni locali e dunque non è un caso che il Festival sia nato in quella città e la sua storia vi si sia prolungata per anni.
Sempre riguardo alle radici del festival, le prime 12 edizioni sono state portate avanti da una donna con un grande carisma, mancata prematuramente, Marina Genovese. Come vi ha segnato questo cambiamento? Come siete riuscite a rialzarvi?
Quando si perde un’amica carissima, piena di energia vitale e di entusiasmo contagioso, quando si perde una compagna di lotte e una grande leader dalle visioni anticipatrici, lo spaesamento è totale. Ci si chiede se abbia ancora un senso portare avanti un progetto segnato dal suo carisma e dalla sua fondamentale presenza.
Se a questo si aggiunge che quando Marina mancò prematuramente le casse erano vuote, poiché con l’ultima edizione – la dodicesima – avevamo lavorato in perdita e le istituzioni non avevano colmato il disavanzo – non dimentichiamo che Immaginaria si è sempre basata sul lavoro non remunerato delle volontarie ma godendo talvolta di finaziamenti istituzionali – è facile capire come venne naturale, e molto doloroso, fermarsi.
Elaborare il passaggio dalla presenza all’assenza, ricominciare a credere nelle proprie forze, richiese molto tempo. Vivemmo un vuoto privato e politico difficile da colmare per attiviste come noi, ma col passare del tempo, lentamente, la passione per il progetto che aveva segnato per sempre le nostre vite riprese vigore e comiciammo a muovere i primi passi.
Nella convinzione di interpretare non solo il nostro desiderio ma anche quello di Marina, che non avrebbe voluto che il Festival finisse con lei. Personalmente penso che siamo positivamente “condizionate” dalla portata di un progetto che all’epoca sfondò il muro del silenzio e che tuttora rimane unico nella sua originalità, poiché nel panorama dei festival generalisti e in quello degli stessi festival lgbtq, non vi è uno schermo più femminista di quello di Immaginaria, che è composta da un team di tutte donne e, continuo a dirlo, proietta film diretti da donne.
In questa impostazione noi continuiamo a ravvisare una necessità. In un’epoca che presta ancora scarsa attenzione alle differenze di genere, dedicare il grande schermo alle donne lesbiche e a tutte le donne ribelli che con i loro stili di vita e la loro progettualità creano cultura, arte e imprenditoria alternative è il fulcro della proposta culturale, sociale e cinematografica di Immaginaria. Anche se alcuni traguardi sono stati raggiunti, la discriminazione e la violenza non sono state debellate e le diseguaglianze non sono state colmate.
La nostra attività è ripresa fra il 2010/2011, a Roma e soprattutto a Milano dove abbiamo curato giornate di proiezioni all’interno del Fuori Salone delle Lesbiche per cinque anni consecutivi. Nel 2015 abbiamo avviato la più importante collaborazione con il Festival Mix Milano, di cui Immaginaria è tuttora festival partner, curando da sei anni la sezione lesbica e femminista all’interno del Mix.
Non siamo più tornate a Bologna per valutazioni legate alla saturazione della città, che nel periodo della nostra assenza ha visto nascere altre realtà. Inoltre, poiché i festival sono per loro natura territoriali, si è pensato di non andare ad accavallarsi con le manifestazioni che intanto vi avevano preso piede. Immaginaria si svolge attualmente a Roma, città che vide la nascita del movimento lesbico e femminista italiano negli Anni ‘70/’80, e dove prima di noi non esisteva un festival “di questo genere”. Ma è dove esiste una variegata realtà di professioniste che si occupano di cinema, che Immaginaria intende radunare per un impulso alla creazione di forme collettive di produzione indipendente.
Sempre riguardo a Marina Genovese, ricordando la sua figura nel sito di Immaginaria, dite che “ha previsto con anni di anticipo l’evoluzione, e anche una certa involuzione, del movimento lesbico italiano, cercando di lottare con ogni mezzo per richiamare alla memoria delle altre quelli che riteneva i principi basilari di un’etica lesbica ancora da inventare”. È ancora tempo di riflettere attorno a “un’etica lesbica”? Cosa si intende con questo concetto?
Credo di potere affermare che Marina si riferisse alla montata del movimento queer, che infatti è ora prevalente soprattutto nelle giovani generazioni, nel quale prevedeva che si sarebbe persa la specificità dell’identità lesbica – e le battaglie storiche delle donne – dando la precedenza al concetto e alla pratica del gender fluid, la fluidità dei generi.
Si tratta di una grande e complessa discussione tuttora in corso, attraversata da parecchie correnti di pensiero, che ha il merito di avere sferrato un attacco su larga scala alla logica binaria maschio-femmina, introducendo una molteplicità di soggett*.
L’asterisco è infatti stato adottato nel mondo lgbtq+ per superare la riduttiva desinenza linguistica maschile-femminile. Non è possibile qui sviluppare un’argomentazione su questi temi. Quello che importa è di scongiurare la perdita della memoria storica delle battaglie che hanno portato le donne da un regime di oppressione assoluta a una maggiore libertà, dignità e incidenza sociale, percorso tutt’altro che concluso, finché discriminazione e violenza continuano a farne le principali vittime.
Per quanto riguarda l’etica lesbica, Marina pensava a filosofe quali Mary Daly, Marylin Frye e Sarah Lucia Hoagland, autrice del monumentale trattato “Lesbian Ethics: Toward New Value”, nel quale cercava di rifondare un’etica su valori diversi da quelli fondanti il patriarcato, ma investigando anche all’interno delle modalità di relazione fra donne e donne lesbiche.
Gli stereotipi introiettati, come le dinamiche di potere ereditate dal mondo maschile, il linguaggio sessista, l’omofobia, la xenofobia e altre forme di ostracismo e di negazione, agiscono anche dentro soggett* che credono di esserne immuni, producendo comportamenti distruttivi. Perciò la risposta è sì: c’è ancora bisogno di parlare di etica, e le donne lesbiche, le principali portatrici di utopia sociale, che per prime si sono sottratte alla tirannia dei ruoli, potrebbero assumersi la responsabilità di proporne una diversa.
Chi c’è dietro al Festival oggi? Quali i ruoli e le responsabilità delle giovani reclute leve?
Dietro Immaginaria c’è ancora la vecchia guardia, rappresentata dalle donne che l’hanno fondata insieme a Marina Genovese – Debora Guma, Elena Rossi, Cristina Zanetti – o che sono entrate nella squadra poco tempo dopo la fondazione.
Il team storico, che fa capo all’Associazione Culturale Lesbica Visibilia, è oggi coadiuvato dall’incoraggiante contributo di giovani donne volontarie che, non conoscendo Immaginaria, ma comprendendone subito la portata culturale e sociale, se ne sono innamorate e apportano nuova linfa al progetto, con una netta preferenza per attività di media, comunicazione visiva e social, abbiamo infatti giornaliste dell’ufficio stampa, fotografe professioniste, grafiche, videomaker e montatrici.
Abbiamo toccato con mano la necessità di parlare alle nuove generazioni con un linguaggio che sia il loro e il sogno sarebbe coronato se riuscissimo a lasciare Immaginaria in eredità alle giovani, affinché prosegua oltre noi stesse. Stiamo formando anche qualche giovane programmer, cioè addetta alla selezione/ programmazione cinematografica. Bisogna anche sottolineare il contributo di tante giovani volontarie che nei giorni del Festival si uniscono alla squadra organizzatrice per gestire l’andamento della manifestazione.
“Ci sono stati cambiamenti, ma il mondo non è ancora diventato un posto migliore” si legge nella spiegazione di Immaginaria. Quindi, perché esiste ancora la necessità di un cinema a tematica lesbica?
Fermo restando che Immaginaria porta in Italia film che non arrivano nelle sale perché le distribuzioni pensano che non avrebbero pubblico (benché ultimamente qualche pregevole film firmato da grandi registe di fama internazionale riesca a sfondare la cortina di ferro), finché la discriminazione e la violenza verso le donne, tutte le donne, di tutti gli orientamenti sessuali, di tutte le culture, di tutte le religioni, di tutte le classi sociali non sarà completamente abbattuta, Immaginaria dovrà proseguire la sua marcia.
Non dimentichiamo la mission parallela del festival, che è quella di incentivare e sostenere la produzione di opere cinematografiche realizzate da donne e di supportare le professioniste che lavorano nell’industria cinematografica dietro e davanti alla macchina da presa, oltre a supportare il percorso di coloro che vorrebbero accedervi oppure fondare proprie Case di produzione. Non si tratta solo di sdoganare la figura della donna lesbica, che comunque resta un passo indietro rispetto a quella del gay, ma di liberare dall’impasse l’enorme energia creativa delle donne, nel cinema come in altri ambiti.
Infine, ricordiamo che l’avvento delle unioni civili nella società italiana non ha prodotto la scomparsa dell’odio contro le persone lgbtq, che vengono ancora brutalmente picchiate e uccise. Le leggi sono importantissime, ma servono anche l’educazione e la cultura per instaurare, consolidare e stabilizzare quel clima di armoniosa convivenza civile che è l’unico obiettivo degno di essere realizzato.
Sempre dalla spiegazione del progetto online, leggiamo: “Ci si è interrogate infatti sulla specificità del cinema lesbico che oggi per esempio ha una qualità estetica superiore ma una radicalità minore rispetto a quello d’avanguardia degli anni ’70, o a quello più indie degli anni ’90”. Il fatto che sia cambiato a livello estetico e abbia perso la propulsività a livello di radicalismo cosa ci dice della società attuale secondo voi?
Quando il cinema non osa, non propone nuove narrazioni, quando rinuncia alla sua carica visionaria, si limita a riprodurre la realtà. E non c’è dubbio che attualmente l’integrazione sia una mèta per la maggior parte delle persone, cioè l’essere accettate perché si sono uniformate o sono state uniformate alle norme vigenti.
In quello che può essere visto come un fenomeno di standardizzazione, Immaginaria cerca sempre di individuare storie e racconti diversi, che portino alla luce situazioni non contemplate, non previste. D’altra parte non può che essere positivo il fatto che almeno alcune registe riescano ad accedere ai finanziamenti necessari per realizzare film di alto profilo produttivo e quando questa circostanza si sposa con un alto livello dei contenuti, come nel recente film di Céline Sciamma, “Ritratto di una giovane in fiamme”, che sta circolando nelle sale, ciò rappresenta una vittoria anche per festival come il nostro, che non ha mai smesso di credere nell’importanza della propria impostazione radicale. Puntare basso riduce le probabilità.
Immaginaria tratta un cinema di nicchia e rivolto a un pubblico preciso. Cosa può insegnare al resto della società? Perché un pubblico non sensibile alle tematiche dovrebbe interessarsene e partecipare alla visione di questi film?
Se per nicchia intendiamo una comunità lgbtq+ sempre più vasta e visibile, potremmo dire, in termini di marketing, che siamo diventati un target molto interessante. In ogni caso, chiunque ha il diritto di essere narrato e rappresentato nella sua dignità e nella sua verità, noi abbiamo subìto per secoli le rappresentazioni dell’amore eterosessuale, della famiglia eterosessuale, e di tutta una serie di derive spacciate come le uniche rappresentazioni possibili.
A parte queste considerazioni, chiunque, in una società sensibile e aperta dovrebbe interessarsi della sorte delle altre persone, anche se non le vive in prima persona. Sarebbe come dire che poiché non vivo a Taranto, la questione ILVA non mi riguarda, “muoiano pure avvelenati”. Poiché non vivo in una zona sismica, i terremotati non mi interessano, “restino pure senza tetto“. Poiché sono nata in Italia, la questione immigrazione non è affar mio, “affoghino pure in mare“. E così all’infinito.
Come reagisce il pubblico non direttamente toccato dalla tematica? Apprezza il festival?
Il pubblico generalista è ancora scarsamente presente a Immaginaria, che è frequentata al momento da una stragrande maggioranza di donne. A riprova del fatto che la strada è ancora lunga e che vige ancora il disinteresse per situazioni che non vengono vissute sulla propria pelle. Ne abbiamo appena parlato.
Creare ascolto e solidarietà è un’impresa lunga e difficile, è un compito educativo e come tale lento ad attecchire. Ma posso raccontare un aneddoto. Può capitare che in cabina di proiezione, se non abbiamo trovato una donna, ci siano dei proiezionisti uomini, che poi immancabilmente diventano nostri amici. Più di uno di loro si è congratulato con noi per l’altro livello delle pellicole e uno in particolare, l’anno scorso, ci ha detto: “Stimo il vostro lavoro, voi parlate di amore”. Non intendeva l’amore romantico, ma quello che fa conoscere le grandi donne del passato e del presente a chi non le conosce, che tramette storie cadute nell’oblio, che crea sentimenti fra chi c’è e se li porta a casa.
Quali sono le difficoltà che si incontrano nell’organizzare il festival Immaginaria e come si superano? Avete mai subito discriminazioni vista la tematica trattata? Se sì, l’approccio di sponsor e istituzioni è cambiato negli anni?
In passato abbiamo subìto attacchi da parte maschilista, mai dalle Istituzioni in una città come Bologna, ma i rari finanziamenti pubblici di cui abbiamo potuto usufruire sono sempre stati insufficienti e comunque l’accesso ai finanziamenti è ancora un problema enorme che ci impedisce di fare decollare il Festival come vorremmo e come meriterebbe.
Partecipiamo anche a Bandi regionali o nazionali ma per vincerli è necessario dimostrare la sinergia di una rete economica già in atto che non siamo in grado al momento di attivare. Soprattutto dopo la pausa forzata di alcuni anni imposta dai problemi interni già citati. È paradossale perché in qualche modo viene richiesta una stabilità e una solidità che il progetto non può presentare se non viene almeno appoggiato in fase di start up, per reimmetterlo nel ciclo dei finanziamenti.
I criteri per entrare nelle graduatorie sono di varia natura e non possiamo affermare che subiamo una discriminazione per il fatto che siamo una squadra di donne e che presentiamo film diretti da donne, su tematiche lesbiche e femministe. Ma sarebbe interessante assistere alle discussioni delle Commissioni. È mia convinzione personale che comunque la sigla lgbtq+ suonerebbe più rassicurante.
Quest’anno invece – per il terzo anno consecutivo a Roma – c’è una bella novità: abbiamo avuto l’appoggio concreto del V Municipio, grazie all’Assessora Maria Teresa Brunetti, che ha compreso al volo l’importanza del Festival e che ringraziamo con tutto il cuore per avere messo a disposizione la struttura cinematografica per lo svolgimento del Festival.
Senza questo formidabile aiuto Immaginaria non sarebbe stata possibile, anche se l’Associazione Visibilia si prodiga durante l’anno per organizzare momenti di autofinanziamento, in collaborazione con altre associazioni e gruppi di donne. I costi da affrontare restano tanti, se si esclude l’incalcolabile monte ore offerto dalle volontarie, e fra questi i diritti di proiezione dei film e gli eventuali quanto auspicabili inviti delle registe, corrieri, materiale pubblicitario, ecc. Nessun festival si regge sulle sole entrate del pubblico e men che meno Immaginaria, che si avvale di un sistema di tessere associative che difficilmente ci portano in pareggio.
Sponsor privati: al momento zero. A mo’ di aneddoto, c’è stato chi ci ha chiesto di togliere la parola lesbica dal titolo e allora se ne sarebbe potuto parlare. Ma uno sponsor privato quest’anno ce l’abbiamo e, guarda caso, si tratta di una istituzione di donne: TRUST Nel Nome della Donna che promuove la libertà femminile concedendo finanziamenti e prestiti senza interesse per progetti di donne.
A conclusione di queste sommarie considerazioni, il tema richiederebbe una trattazione molto più vasta, dobbiamo dire che non abbiamo al nostro interno uno staff vero e proprio che si occupi in modo specifico e sistematico della ricerca di sponsor e questa è una grave lacuna. Vorremmo potere raggiungere le imprenditrici, siamo sicure che fra loro potremmo trovare dell’interesse a sostenere un progetto come Immaginaria. Chi, leggendo questo articolo, volesse proporre idee o volesse proporre se stessa sarebbe la benvenuta scrivendoci a info@immaginariaff.it.
Tra i film fino ad ora proiettati, ce n’è uno che vi è rimasto particolarmente a cuore?
Difficile rispondere a questa domanda, dopo avere portato in Italia fra i 1600 e i 1700 titoli, raccolti nell’Archivio di Immaginaria a disposizione sul sito. E forse non sarebbe neppure giusto puntare i riflettori su un titolo solo. Abbiamo avuto decine e decine di lungometraggi di fiction e di documentari che hanno contribuito in modo determinante alla nostra crescita personale e collettiva e che ci sono rimasti nel cuore.
Ci limitiamo qui a citare l’opera omnia della pioniera del cinema lesbico, Barbara Hammer (scomparsa nel 2019), un corpo monumentale di film sperimentali che hanno fatto la storia del cinema, non solo lesbico, e sono passati alla storia per avere recuperato una quantità di storie sommerse attraverso documentazione fotografica e filmati d’epoca perché, e l’abbiamo verificato di persona: “La nostra storia scompariva mentre la stavamo facendo”.
Un aneddoto di rilievo da raccontare in tutti questi anni di festival?
Più che un aneddoto si tratta di un leitmotiv che si ripete di anno in anno. Usciamo da ogni edizione sfinite, con la solita frase in bocca: “ma chi ce lo fa fare”, che assomiglia di più a una frase ironica di autocompiacimento per avercela fatta ancora una volta che a un’autocommiserazione. E ogni anno riprendiamo la strada in salita che consiste nell’organizzare, con una notevole dose di preoccupazione, un festival senza i fondi necessari. Una cosa però possiamo dirla: Immaginaria è sempre magica e la sua magia è contagiosa.
Immaginaria nel futuro: quali sogni nel cassetto?
Il sogno vero è la trasmissione del sogno, assicurare a Immaginaria una discendenza, in modo che il progetto non si estingua con le fondatrici ma sia portato avanti dalle giovani generazioni di donne finché non sarà diventato un progetto inutile, il che significherebbe la fine planetaria della discriminazione e della violenza verso le donne. Dopodiché le nostre ereditiere potranno dedicarsi ad altro. Per il momento sarebbe molto importante che Immaginaria diventasse, con il sostegno permanente delle istituzioni locali e nazionali, un Festival stabile, da non dovere rinegoziare ogni anno come se venisse dal nulla.