In occasione della Giornata globale di azione per l’Amazzonia, indetta dall’Articolazione dei Popoli Indigeni del Brasile (APIB) per il 5 settembre, Greenpeace continua a denunciare la drammatica situazione degli incendi in Amazzonia.
Solo il 3 settembre sono stati 385 gli incendi rilevati nell’Amazzonia brasiliana e dall’inizio dell’anno sono stati quasi 94.000 quelli che hanno devastato il Brasile, 48.000 solo in Amazzonia. L’aumento degli incendi durante il mese di agosto è stato del 196 per cento rispetto allo stesso periodo del 2018.
Per questo l’APIB invita le persone di tutto il mondo a mobilitarsi oggi di fronte alle ambasciate e ai consolati brasiliani, ma anche presso le sedi di società e multinazionali che traggono profitto dalla distruzione della foresta amazzonica.
«Siamo in uno stato di emergenza: non possiamo difendere il clima del Pianeta se non difendiamo le foreste. Ma in Brasile l’Amazzonia continua a bruciare per fare spazio ai pascoli di bestiame e in tutto il Sud America le foreste vengono distrutte per produrre quantità insostenibili di carne e colture destinate a diventare mangimi» dichiara Martina Borghi, campagna foreste di Greenpeace Italia.
L’Unione Europea, durante il Vertice G7 a Biarritz (Francia) ha dichiarato di voler difendere l’Amazzonia stanziando fondi contro gli incendi, eppure continua a sostenere con sussidi pubblici il sistema industriale di produzione della carne e ha elaborato un Piano d’azione contro la deforestazione che non affronta i costi ambientali e umani delle proprie politiche commerciali e agricole.
In questo modo, continua a permettere a una manciata di multinazionali di accedere a nuovi mercati a scapito della necessità di valutare il costo ecologico, climatico e umano degli accordi commerciali in cui è coinvolta, come rischia di accadere nel caso dell’accordo di libero scambio Ue-Mercosur.
«Chiediamo all’Ue una riforma della Politica Agricola Europea (Pac) con misure efficaci per ridurre la produzione di carne, tagliando i sussidi pubblici alla produzione industriale di carne e utilizzandoli invece per una vera transizione verso metodi di produzione ecologica. Chiediamo inoltre una normativa in grado di garantire che i prodotti immessi sul mercato europeo non siano collegati alla deforestazione, al degrado delle foreste o alle violazioni dei diritti umani, e di assicurare che il settore finanziario non sostenga questa devastazione: oggi non è così» prosegue Borghi.
A giocare un ruolo chiave sono anche le grandi multinazionali. Per quanto riguarda il settore agroalimentare i fast food, ad esempio, utilizzano grandi quantità di materie prime agricole la cui produzione è fra le principali cause di deforestazione in Brasile.
Inoltre, commercializzando grandi quantità di prodotti a base di carne nei mercati emergenti e in tutto il mondo, contribuiscono alla crescita della domanda mondiale di carne. Nonostante abbiano sottoscritto impegni di “Zero Deforestazione”, McDonald’s, Burger King, KFC e altre catene di fast food non stanno rispettando gli impegni presi.
Altri settori si sono dimostrati invece più recettivi: la VF Corporation, proprietaria di marchi come Timberland e The North Face, ha annunciato che sospenderà l’acquisto di cuoio dal Brasile fino a quando non contribuirà più ai danni ambientali del Brasile. Le società di investimento Nordea Asset Management, Storebrand ASA e KLP hanno annunciato l’avvio di attività per monitorare ed eventualmente limitare gli investimenti in Brasile.