Lui l’ha definita , una “intellettuale radical chic e snob”. Lei replica con la “sinossi dei curriculum”. D’altronde non poteva che essere così, dopo l’ennesimo attacco in salsa pop di un Ministro – Matteo Salvini – all’autrice del bestseller “Accabadora” e vincitrice dei premi Campiello, Dessì e SuperMondello, Michela Murgia.
11 paragrafi, dove la scrittrice elenca nel dettaglio sudori e fatiche che le hanno permesso di prendere il volo, tutt’altro che vicina a quella retorica che la vorrebbe etichettare come “radical chic” lontana “dai veri problemi”. Sì perché Murgia si è diplomata a (quasi) massimi voti, mentre lavorava in pizzeria di notte. Negli anni poi è passata per vari lavori precari, dai banchi di un call center, alle cartelle esattoriali, al portiere notturno di un hotel. Per pochi spiccioli al mese mentre iniziava a incidere nero su bianco il suo talento che le ha permesso di emergere come autrice.
Nel frattempo, Salvini scalava solo e soltanto la vetta della politica, prendendo persino il tesserino da giornalista attraverso “testate di partito che si reggevano sui finanziamenti pubblici, ai quali io non ho nulla in contrario, ma contro i quali lei ha invece costruito la sua retorica”, come ricorda bene Murgia.
Niente di inventato, niente frasi fatte, niente retorica. Solo dati, curriculum, elementi reali e verificabili. Dal 1991 ad oggi. Ma tra tante informazioni – vere – vincerà ancora il popolo della velocità e della rabbia. Perché nel web, lo sappiamo bene, predomina l’apparenza a colpi di una frase. Una sola frase strabordante dei soliti aggettivi populisti.
D’altronde lo sappiamo: nell’epoca della politica pop i social media dei nostri Ministri sono gestiti da social media manager senza scrupoli che bene hanno coscienza delle loro armi e di quali “contenuti” possano sfondare. Sempre ammesso che possiamo abbassarci a definire “contenuti” queste frasi fatte prive di fondamento reale, se non quello della rabbia.
E allora via di selfie con patatine e salamella, di sfilata “travestito da esponente delle forze dell’ordine” – come ricorda ancora Michela Murgia – e di retorica. Perché prima di tutto la popolarità e i voti. E il nobile ruolo di Ministro, di rappresentante dello Stato, sparisce. Sgretolato dall’apparenza e dalla superficialità.
Allora, signor Ministro, “lasci stare il telefonino e si metta finalmente a fare il ministro invece che l’assaggiatore alle sagre”, sottoscrivendo l’affondo di Murgia. Perché nessuno di noi vuole farsi “dare lezioni di realtà da un uomo che è salito su una ruspa in vita sua solo quando ha avuto davanti una telecamera”. Solo allora potrà permettersi di parlare – forse – “a nome di 60milioni di italiani”. Ora no. Non a mio nome.