“Stop alla guerra sui bambini”. Save The Children denuncia azienda italiana esportatrice di armamenti verso i paesi responsabili delle sei gravi violazioni dei diritti di minori in conflitto armato. L’organizzazione, in occasione dei suoi 100 anni, contesta anche il deteriorarsi delle condizioni di vita dei più piccoli nelle tante aree di conflitto presenti sul pianeta.
Uno su cinque al mondo. Sono 420 milioni i bambini che vivono in aree di conflitto, un numero in crescita di 30 milioni rispetto al 2016, che è raddoppiato dalla fine della Guerra Fredda ad oggi. Nel 2017 sono oltre 10mila i bambini che sono rimasti uccisi o mutilati a causa di bombardamenti, mentre si stima che almeno 100mila neonati perdano la vita ogni anno per cause dirette e indirette delle guerre, come malattie e malnutrizione.
Circa 4,5 milioni di bambini hanno rischiato di morire per fame nel 2018 nei dieci paesi peggiori in conflitto: Afghanistan, Yemen, Sud Sudan, Repubblica Centrafricana, Repubblica Democratica del Congo (RDC), Siria, Iraq, Mali, Nigeria e Somalia. Questi sono i paesi in cui i bambini sono stati i più colpiti dai conflitti nel 2017. Le violazioni dei diritti dei minori in queste aree si è triplicato dal 2010 ad oggi.
Questi alcuni dei dati presentati da Save the Children nel suo ultimo rapporto, che porta il nome della nuova campagna “Stop alla guerra sui bambini”: un allarme forte da parte dell’Organizzazione, nata nel 1919 all’indomani della prima guerra mondiale per salvare i bambini a rischio e garantire loro un futuro, che in occasione dei suoi 100 anni denuncia il deteriorarsi delle condizioni di vita dei più piccoli nelle tante aree di conflitto.
«Ogni guerra è una guerra contro i bambini, diceva la fondatrice di Save the Children Eglantyne Jebb cento anni fa e oggi è più vero che mai. Quasi 1 bambino su 5 vive in aree colpite da conflitti, il numero di bambini uccisi o mutilati è aumentato. Dall’uso di armi chimiche, allo stupro, ai rapimenti, ai reclutamenti forzati, i crimini di guerra continuano a crescere e a rimanere impuniti – spiega Valerio Neri, Direttore Generale di Save the Children – È sconvolgente che nel XXI secolo arretriamo su principi e standard morali così semplici: proteggere i bambini e i civili dovrebbe essere un imperativo, eppure ogni giorno i bambini vengono attaccati, perché i gruppi armati e le forze militari violano le leggi e i trattati internazionali. Milioni di bambini in Yemen stanno vivendo orrori indescrivibili a causa del conflitto. Colpiti per strada, bombardati mentre sono a scuola: sono bambini e bambine a cui è negata un’infanzia. Rimasti orfani, senza più una casa, senza più i propri cari. Tutto questo è inaccettabile».
Le bombe utilizzate dalla Coalizione a guida saudita in Yemen per colpire obiettivi civili sono prodotte anche in Italia. Uccidere bambini in un conflitto è vietato dal diritto internazionale umanitario. Inoltre la legge italiana sul controllo dell’esportazione importazione e transito dei materiali di armamento (L.185/90), proibisce l’esportazione verso paesi che violano i diritti umani. Per questo motivo Save the Children ha lanciato una petizione on line per fermare immediatamente la vendita di armi italiane usate contro i bambini in Yemen attualmente prodotte presso la RWM, in Sardegna.
Sempre più bambini esposti nei conflitti
Nel 2017 più di 420 milioni di bambini – 1 su 5 al mondo – viveva in un’area colpita da conflitti armati: di questi, 142 milioni vivono in zone dove il conflitto è particolarmente acceso e in cui si contano almeno mille morti ogni anno a causa della guerra. Il numero dei bambini esposti ai conflitti armati è raddoppiato dalla fine della Guerra Fredda ad oggi, un dato che è drammaticamente cresciuto anche a causa della diversa natura dei conflitti.
Si tratta sempre di più di conflitti che coinvolgono un numero crescente di attori armati e che si protraggono per lungo tempo. Basti pensare alla guerra in Siria, ormai giunta al suo ottavo anno, che ha superato la durata della Seconda Guerra Mondiale, con differenti attori in campo e che ha coinvolto un numero drammatico di civili.
Più i conflitti durano a lungo e più consistenti saranno i danni indiretti causati dalla mancanza di accesso ai servizi essenziali. I bambini sono coloro che pagano il prezzo più alto degli effetti indiretti dei conflitti come la fame, le infrastrutture e gli ospedali danneggiati, la mancanza di accesso alle cure mediche e ai servizi igienico-sanitari e la negazione degli aiuti umanitari. I conflitti, inoltre, coinvolgono sempre di più i centri urbani e il campo di battaglia è indefinito, interessando in prima linea case e scuole in cui vivono i bambini, che diventano oggetto di attacchi indiscriminati come accaduto a Mosul, in Iraq, o a Mogadiscio in Somalia.
Le violazioni contro i bambini nei conflitti
Il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite ha identificato sei gravissime violazioni dei diritti dei bambini durante i conflitti: l’uccisione e la mutilazione (sarebbero oltre 10mila i bambini uccisi o mutilati nel 2017, il 6% in più rispetto all’anno precedente. Solo in Afghanistan sono stati oltre 3mila, la maggior parte dovuti a mine e ordigni inesplosi o addirittura ad incidenti dovuti al trasporto di bombe ed esplosivi da parte dei bambini).
Le cause sono anche il reclutamento e l’uso dei bambini soldato (sempre nel solo 2017 Il coinvolgimento diretto dei minori nei conflitti e il loro reclutamento forzato è un fenomeno in crescita del 3% dal 2016 al 2017, con incrementi significativi in paesi come la Repubblica Centrafricana o la Repubblica democratica del Congo); la violenza sessuale (secondo le stime delle Nazioni Unite nel 2017 c’è stato un incremento del 12% dei casi di violenza sessuale ai danni dei minori in zone di conflitto, con dati particolarmente allarmanti rilevati in Siria e Myanmar); i rapimenti (anch’essi in crescita: nel 2017 i casi registrati sono aumentati del 62% rispetto all’anno precedente, per un totale di 2556 casi, 1600 dei quali solo in Somalia ad opera di Al Shaabab).
E ancora, gli attacchi a scuole e ospedali (sono state 1432 gli attacchi alle scuole, la maggior parte dei quali si sono verificati in Siria e Yemen, con il risultato che in entrambi i paesi oltre 2 milioni di bambini si vedono negato l’accesso all’istruzione), la negazione dell’accesso degli aiuti umanitari (sono più di 1500 i casi in cui è stato impedito l’accesso agli aiuti in aree di conflitto, il 50% in più rispetto all’anno precedente, con un impatto drammatico per le popolazioni civili e in particolare i minori. Save the Children stima che 4,5 milioni di bambini erano a rischio di morte per fame nel 2018 nei dieci paesi peggiori in conflitto).
Secondo l’analisi di Save the Children sulla base dei report delle Nazioni Unite, il numero di violazioni dei diritti dei minori nel 2017 è stato di 25mila, il numero più alto mai registrato prima. Dal 2010 ad oggi il numero dei bambini che vivono in aree di conflitto è aumentato del 37%, a fronte però di una crescita del 174% del numero di casi di gravi violazioni verificati. Un incremento significativo dovuto principalmente all’acutizzarsi delle crisi nella Repubblica Centrafricana, Repubblica Democratica del Congo, Myanmar, Sud Sudan, Siria e Yemen.
I 10 peggiori Paesi in conflitto per i bambini
In termini assoluti, l’Asia è il luogo dove vivono più bambini in aree di conflitto, pari a 195 milioni di bambini, un dato che scende a 152 milioni in Africa. In termini percentuali, invece, è il Medio Oriente a detenere il triste primato, con circa il 40% dei bambini che vivono in zone di guerre, pari a 35 milioni.
Analizzando i principali conflitti in corso in base alle 6 principali violazioni commesse ai danni dei bambini, nonché alla densità del conflitto, al numero totale della popolazione dei minori che vive nelle aree di conflitto e alla loro proporzione con la popolazione complessiva, Save the Children ha identificato i dieci paesi in guerra dove è più difficile vivere per un bambino: Afghanistan, Repubblica Centrafricana, Repubblica Democratica del Congo, Iraq, Mali, Nigeria, Somalia, Sud Sudan, Siria, Yemen.
Secondo uno studio del Lancet, l’esposizione al conflitto aumenta il rischio di morte nei minori sotto il primo anno di vita del 7,7%, un incremento dovuto principalmente alle cause indirette dei conflitti. Applicando questo studio ai dieci paesi evidenziati da Save the Children come i peggiori per i più piccoli, si stima che negli ultimi cinque anni 550mila bambini siano morti prima di compiere un anno, un dato che sale a 870mila bambini sotto i cinque anni.
Si tratta di stime, che potrebbero essere addirittura conservative, ma che dimostrano che almeno 100mila neonati all’anno che hanno perso la vita per fame o malattie, probabilmente non sarebbero morti se non fossero nati in un paese in guerra.
Basti pensare al caso dello Yemen, dove oltre il 90% dei bambini vivono in zone dove l’intensità del conflitto è alta e dove le cause indirette della guerra sono state più devastanti: si stima che siano più di 85mila i bambini sotto i cinque anni morti per fame o malattie gravi dall’inizio del conflitto, iniziato tre anni fa.
La guerra in Yemen e le armi italiane
«Mamma e papà sono bruciati. Sono morti. Siamo tutti morti». Wafa ha quattro anni e sua sorella Shaida ne ha due e sono state brutalmente ferite duramente un attacco aereo nella città portuale di Hodeida in Yemen nel giugno 2018. I loro genitori sono morti e loro hanno dovuto subire numerose operazioni chirurgiche per estrarre le schegge delle bombe che hanno colpito la loro casa.
Wafa ha una cicatrice di 15 centimetri sul cranio ed è seguita dai medici e dagli operatori sanitari di Save the Children. Le conseguenze fisiche e psicologiche di quell’attacco rimarranno indelebili su di lei e su sua sorella. Quello che hanno vissuto Wafa e Shaida è solo uno dei numerosi attacchi aerei che hanno avuto come obiettivo i civili e che hanno causato numerose vittime in Yemen, coinvolgendo tantissimi bambini. Secondo le stime sarebbero circa 6500 i bambini rimasti uccisi o feriti dai bombardamenti in Yemen dall’inizio del conflitto.
Rapporti, foto e reportage nel Paese documentano che alcuni resti delle bombe esplose in zone civili, su case e villaggi in cui erano presenti famiglie con bambini, recavano il codice A4447 che riconduce a una fabbrica di armi in Sardegna, la RWM. RWM Italia S.p.A. è una fabbrica di armamenti parte del conglomerato industriale tedesco della Rheinmetall. La principale attività è la produzione di sistemi antimine, munizioni e testate di medio, grosso calibro. La compagnia ha sede legale a Ghedi (Brescia) e stabilimento produttivo a Domusnovas, in provincia di Carbonia-Iglesias, in Sardegna. L’utilizzo di ordigni della serie MK da 500 a 2000 libbre di fabbricazione italiana da parte dell’aviazione saudita è confermato dal Rapporto finale del gruppo di esperti sullo Yemen, commissionato dall’Onu.
«Le bombe fabbricate in Italia e vendute alla Coalizione Saudita sono utilizzate in Yemen per colpire case, villaggi, aree civili, per uccidere i bambini. Non possiamo renderci complici della morte di migliaia di civili inermi e di bambini, vendendo armi a paesi che violano palesemente il diritto internazionale e i diritti dei bambini – commenta Neri – Chiediamo, quindi, che l’Italia fermi immediatamente l’esportazione di armamenti verso i paesi responsabili delle sei gravi violazioni dei diritti di minori in conflitto armato e che si faccia promotrice di un’iniziativa globale per fermare questo commercio sulla pelle dei bambini in Europa e nel mondo. Chiediamo inoltre al Ministro degli Affari Esteri di fermare immediatamente l’esportazione, la fornitura e il trasferimento di materiali di armamento alla Coalizione Saudita, armi che uccidono i bambini yemeniti e che quando anche sopravvivono, distruggono il loro futuro».