8 aprile “primavera brilla nell’aria e per li campi esulta” e in tutto il mondo si celebra il Romano Dives, la Giornata internazionale dei Rom, Sinti e Camminanti. Pensare che fino a quella data cigani, gipsy,
zigeuner erano termini usati in senso strettamente dispregiativo (beh, non è che tuttora, a 50 anni di distanza, le cose siano poi cambiate come vorremmo)
Perché l’otto aprile? Perché questa è la ricorrenza istituita per ricordare il primo congresso mondiale del popolo Rom, che si tenne a Londra nel 1971.
Esattamente 50 anni fa.
Niente obbligava a scegliere l’8 Aprile come data di apertura dell’evento se non, come scrive Grattan Puxon -allora presente all’evento- “the moral imperative and hunger for self-definition”!
In quella occasione la parola “Gipsy” era stata bandita dai tavoli delle conferenze e c’era una reale aspirazione di far valere la causa rom contro la destra riemergente e i neo fascismi che rifiorivano. Anche nell’Occidente, gli “zingari” venivano banditi dalle strade e i loro campi distrutti. Le eccezioni includono la Phralipe (Brotherhood) in Macedonia e the Pan-Hellenic Roma Association ad Atene che sopravvisse alla guerra.
Così nel 1971, carichi di legittimo senso di giustizia e di identità, i rappresentanti Rom si riunirono in una scuola nei sobborghi sud orientali di Londra. Molti di loro non si erano mai conosciuti prima di quel lungo weekend del 1971. Ma da esso erano usciti come i delegati del primo congresso mondiale e avevano dato vita non ad uno stato a nazione ma un percorso politico da seguire. Durante il summit di Chelsfield, vicino Londra, intellettuali e attivisti Rom si confrontano e si interrogano sulle basi della propria cultura e del proprio popolo, definendone i contorni.
Erano gli anni della Guerra Fredda e della Cortina di Ferro e non era affatto facile viaggiare ed incontrarsi per persone che si affermavano come una comune identità etnica, ma di diverse culture, di lingue spesso orali. Tentativi erano stati intrapresi in un congresso pre-guerra a Bucarest, ma un decennio dopo Margareta Matache, Direttore of the Roma Program ad Harvard, decise che i Rom dovevano avere uno stendardo, un simbolo di nazionalità, una bandiera per gli oltre 20 milioni di Rom in diaspora…e anche degli eroi.
Quel giorno si costituì la Romani Union, la prima associazione mondiale dei Rom, che sarà riconosciuta dall’ONU solo nel 1979 ma sarà solamente nel 1990, 11 anni dopo, durante il quarto congresso mondiale della International Romani Union, che verrà stabilita ufficialmente la data dell’8 aprile come la Giornata internazionale dedicata a Rom e Sinti.
La confederazione ha preso il nome di “Rom”, letteralmente “uomo” o “popolo degli uomini”, inclusivo di tutti i gruppi variamente denominati e presenti nel mondo: Sinti, Manouches, Kalderash, Lovara, Romanìchéls, Vlax, Domari, Nawar, Kalé, Ashkal, e tanti altri.
Una bandiera ed un inno si diffusero ovunque, in uno stato senza patria: come bandiera la ruota rossa in campo azzurro e verde (questi colori rappresentano il paradiso e la terra mentre la ruota con 16 raggi simboleggia lo spirito errante dei Rom) e come inno Gelem Gelem o Djelem Djelem di Yarko Jovanovich composto nel 1969 in lingua romanì su un’aria resa tradizionale dopo la Seconda Guerra Mondiale, con riferimenti al Porrajmos.
Per noi, il Romano Dives non è solo l’occasione per tenere alta l’attenzione sui problemi e le discriminazioni subite, allora come oggi, dal popolo rom. Ad esempio secondo un’inchiesta condotta nel 2014 dal Pew Research Center in Francia, Germania, Grecia, Italia, Polonia, Regno Unito e Spagna, la maggior parte delle persone ha un’idea negativa delle minoranze che vivono nel loro paese: musulmani, ebrei e in particolare Rom. In testa alla classifica c’è, ahinoi, l’Italia.
E’ ovvio che siamo contenti che la futura strategia dell’UE a favore dei Rom per il periodo successivo al 2020 miri a promuovere e proteggere i diritti umani e a combattere l’antiziganismo e la discriminazione e che faccia piacere che il comitato ONU favorisca l’inclusione sociale dei Rom, Sinti e Camminanti (nell’ottica comune visti come NON cittadini,) come se si potesse prescindere dal rispetto dei principi di eguaglianza, di non discriminazione, di l’incitamento all’odio razziale.
Ma soprattutto noi vogliamo che questo cinquantesimo del Romano Dives anniversario serva per far conoscere, e, perché no?, anche per celebrale la nostra cultura rom, anzi il nostro mondo interculturale, con noi e attraverso di noi, non tramite open society, senza padroni ma con lo spirito democratico che ci ha sempre ispirati, quello di stare con la legalità e le pari opportunità
Ed è per questo che in questo mese si sono svolte diverse attività con e sui Rom, per valorizzare la loro multietnica e secolare cultura.
Il 1° marzo è partita la carovana pedagogica web; il 21 marzo è nata l’Accademia Nazionale Romanì, sotto lo slogan “Dalla conoscenza nascono il rispetto e la coesistenza”, in cui si terranno video lezioni gratuite da parte di docenti universitari di antiziganismo, romanologia, e cultura generale; fra il 21 e il 27 marzo, con il sostegno dell’U.N.A.R., è nato il PDF interattivo Antir∂zin∂, frutto di corpo e di menti che lottano con diversi strumenti e trovano nuovi modi di fare comunità, per un futuro libero da oppressioni e discriminazioni. Fra pochissimi giorni inizierà il seminario internazionale interdisciplinare per insegnanti universitari (dal 9 al 23 aprile).
Interessantissima iniziativa per il Romano Divesè quella dell’8 aprile “Razzismo brutta storia” che, in collaborazione con l’U.C.R.I , con il movimento Kethane e l’associazione Upre Roma propone in tutte le librerie Feltrinelli di Italia titoli, risorse multimediali, appuntamenti. E siccome la cultura parte in primis dalle scuole Eva Rizzin, ricercatrice dell’Università di Verona, e Luca Bravi, ricercatore dell’Università di Firenze hanno realizzato schede con risorse per docenti.
L’unico limite è la volontà di non imparare.
La bellezza delle comunità romanès è unione, solidarietà, competenza; la sua bellezza sta nella condivisione e nella crescita comune, nel far capire al mondo che ci sono Rom di fama internazionale e grandi intellettuali, sportivi, artisti. La condivisione della cultura è lo strumento più forte che abbiamo, non l’assimilazione
Forse anche per questo Moni Ovadia il 10.07.2008 ha proposto «Il Nobel ai Rom: è l’unico popolo senza una guerra».