Il 5 novembre, grazie all’Unesco, si celebra la Giornata Internazionale della Lingua Romanì, riconosciuta come patrimonio culturale mondiale. Per questo, nel 2015, il Consiglio d’Europa riunitosi a Strasburgo invitò tutti gli Stati membri a intensificare gli sforzi per riconoscere, proteggere, promuovere e sviluppare la lingua romanì in Europa.
Ad oggi, però, solo 16 Stati dell’UE hanno riconosciuto il romanì come lingua minoritaria protetta dalla Carta europea delle lingue regionali e minoritarie: Austria, Bosnia-Erzegovina, Finlandia, Germania, Montenegro, Norvegia, Paesi Bassi, Polonia, Repubblica Ceca, Romania, Serbia, Slovacchia, Slovenia, Svezia, Ucraina e Ungheria.
Insomma, tra gli Stati che mancano all’appello, purtroppo, c’è anche l’Italia. Questo nonostante il popolo rom sia la più importante minoranza etnica dello Stivale.
Secondo le stime, si parla di 180mila persone (sui 14 milioni presenti in tutto il mondo), la maggior parte con cittadinanza italiana e residente in abitazioni come chiunque altro. Stando al censimento del 2008, nei campi nomadi in Italia – tanto presi di mira dalle più penose campagne politiche nostrane – risiedono solo 26mila persone.
Inoltre, l’85% del popolo romanì italiano (e mondiale) non è nomade (tanto per cercare di abbattere uno dei tanti più ignoranti pregiudizi creati a pennello per screditare i rom). In Italia vivono soprattutto in Lazio, Campania, Lombardia e Calabria. In totale troviamo 11 gruppi, suddivisi tra Rom, Sinti, Rom Lovari, Rudari, Khorakhana, Kaulja, Sufi e Camminanti.
Nonostante tutto ciò, attualmente, la legislazione italiana a tutela delle minoranze linguistiche riconosce 12 gruppi: albanesi, catalani, croati, francesi, francoprovenzali, friulani, germanici, greci, ladini, occitani, sardi, sloveni. Per quanto riguarda i rom, tutto tace.
Ma come ci ricorda il violinista e attivista rom Gennaro Spinelli, “la lingua romanì e le sue diverse varianti sono parte integrante del ricco patrimonio linguistico e culturale condiviso dagli europei. Il romanì è l’essenza dell’identità Rom: è fondamentale per la sua preservazione e funge da mezzo di comunicazione per molti dei 12-14 milioni di Rom che, secondo le stime, vivono in Europa”.
“Permettere e promuovere l’uso del romanì nell’istruzione, nei media, e nella vita pubblica, in modo che i bambini possano apprenderlo a scuola e gli adulti utilizzarlo nella vita quotidiana – continua Spinelli – contribuirà all’aumento del rispetto della dignità e dell’identità del popolo Rom”.
“Non accettare una lingua vuol dire non riconoscerne il suo popolo – conclude Spinelli – Noi lotteremo affinché anche in Italia la lingua Romanì diventi patrimonio culturale. Affinché anche in Italia la parità dei diritti venga applicata”.
Eppure basterebbe che ai piani alti si ricordassero – davvero – di applicare l’Articolo 3 della nostra Costituzione:
“Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali”.