Questo giugno ricorrono 75 anni da quel 2 giugno che ha portato alla nascita della nostra Repubblica e della nostra Costituzione.
Ripercorriamo quell’evento attraverso la Lectio Magistralis del Prof. emerito di Storia contemporanea Paolo Pezzino, Presidente dell’Istituto nazionale Ferruccio Parri, rete degli istituti italiani della Resistenza e dell’età contemporanea
“Sono tre gli elementi da considerarsi unitariamente: Resistenza, Referendum istituzionale, Costituzione”
Il 2 giugno, infatti, non si votò solo per monarchia o Repubblica, ma anche per l’elezione dei membri della Assemblea Costituente, con metodo elettorale proporzionale.
“Ma la perdita di consenso della monarchia- afferma Pezzino- inizia ben prima, l’8 settembre del ’43, con l’annuncio dell’armistizio e la fuga del re e di Badoglio da Roma, lasciando le forze armate totalmente senza direttive, sia in Italia che all’estero. C’è chi ritiene che la monarchia iniziò a perdere consenso già nel settembre del ‘38 con l’emanazione delle leggi razziali, ma non è così, perché la firma di tali leggi avvenne nella quasi totale indifferenza degli Italiani”.
Soprattutto al centro nord si assume la consapevolezza che le scelte del fascismo fossero sempre state avvallate dal re.
Durante la Resistenza le forze politiche di sinistra, oltre ovviamente al partito repubblicano si erano già espresse per la Repubblica; nel dopoguerra anche la Democrazia Cristiana, darà indicazione di voto per la Repubblica al referendum.
“Non dobbiamo dimenticare che il Referendum fu prima consultazione politica che coinvolse le donne -nei vecchi manuali di storia si trova ancora scritto che il suffragio universale in Italia fu introdotto da Giolitti, ma non è così, perché era solamente maschile-, mentre nella prima tornata di elezioni amministrative che si era tenuta nel marzo 1946 le donne avevano già votato”.
Il 2 giugno ci furono più elettrici che elettori: rispettivamente 12.998.131 donne contro 11.949.056 uomini. Tuttavia solo 21 donne furono elette alla Costituente di cui 5 solamente parteciparono alla commissione dei 75, incaricata di redigere il testo della carta costituzionale.
“L’affluenza alle urne il 2 Giugno fu altissima: dal 75% al 90% degli aventi diritto. Adesso guardiamo a queste percentuali di votanti con meraviglia e nostalgia, ma dopo un ventennio, cioè dal ’24, in cui non si era praticamente votato, gli Italiani avevano voglia di partecipare attivamente alla vita politica del paese”.
Gli esiti non furono così scontati come si sarebbe potuto immaginare: la Repubblica vinse con il 54,3%, dei voti anche se in nessuna circoscrizione elettorale a sud di Roma prevalse questa forma istituzionale. Enorme il divario nell’esito del voto fra meridione e settentrione: mentre a Roma monarchia e Repubblica si equivalsero con 51%, a Napoli ben il 78% dei votanti si espresse a favore della monarchia (segno che il sentimento antisabaudo non era così forte come i neoborbonici vogliono far credere), viceversa al nord la scelta repubblicana stravinse: a Bologna con l’85% e a
Trento addirittura con il 90%. Tuttavia a complicare il quadro è che la maggioranza dei voti a favore della monarchia (52%) fu espressa al centro-nord , in quanto il numero di votanti era molto più consistente in quelle regioni.
Dopo il Referendum ci fu chi (in modo non veritiero) mosse accuse di brogli, ci furono fatti di sangue come a Napoli, dove una manifestazione filomonarchica cercò di assaltare la sede del partito comunista italiano in via Medina per togliere una bandiera tricolore dalla quale era stato cancellato lo stemma sabaudo; un’autoblindo della polizia sparò raffiche di mitragliatrice che uccisero nove manifestanti monarchici e ne ferirono 150.
Ricordiamo poi che gli eredi della monarchia sabauda non hanno mai riconosciuto l’esito del Referendum.
Gli esiti delle elezioni alla Costituente videro l’affermarsi di tre grandi partiti: la Democrazia Cristiana con il 35,2% dei voti mandò 207 rappresentanti all’assemblea, il Partito Socialista italiano di unità proletaria con il 20, 7 dei voti ne mandò 115, Partito Comunista Italiano con il 18,9% dei voti ottenne 104 rappresentanti.
Altre forze politiche uscirono dalle elezioni con grande distacco.
“Dunque tre sono i dati significativi: la vittoria della DC, il fatto che i due partiti di sinistra sommati superarono la DC, e la scomparsa nel giro di un anno del Partito di Azione, che tanta parte aveva svolto nella Resistenza”
E veniamo alla nostra Costituzione, entrata in vigore il 1° gennaio 1948.
La costituzione italiana è frutto dell’incontro e del compromesso di tre anime e tre culture diverse: liberaldemocratica, cattolica e socialista-comunista.
Certo, la nostra carta costituzionale è stata per lungo tempo “inattuata”, piena di buoni propositi ma anche di utopia sociale. Calamandrei nel ‘50 scriveva: “per compensare le forze di sinistra della rivoluzione mancata, le forze di destra non si opposero ad accogliere nella costituzione una rivoluzione promessa”.
“In realtà -prosegue Pezzino- la Costituzione italiana è riuscita ad immettere nella vita politica e istituzionale del paese significativi cambiamenti che rappresentarono una rottura, non solo con il fascismo ma anche con il sistema politico dell’Italia liberale: la corte costituzionale entrò in vigore nel 1956 e dichiarò subito incostituzionali una serie di norme dell’articolo 113 del testo unico delle leggi sulla pubblica sicurezza emanato nel 1931, ritenuti in contrasto con l’articolo 21 che sancisce la libertà di espressione. L’attivazione del consiglio superiore della magistratura rese effettiva l’autonomia di quest’ultima sancita dalla costituzione; l’ordinamento regionale dimostrò che il carattere di questa costituzione era pluralista e articolava le forme del potere tra Stato e autonomie locali”.
In conclusione il professor Pezzino ha sottolineato come pur con alcuni limiti la Repubblica ha garantito la democrazia nel nostro paese, e la costituzione ha favorito lo sviluppo economico e la crescita sociale e civile dell’Italia.