Auschwitz-Birkenau, 16 maggio del 1944: nello Zigeunerlager, “il campo degli zingari”, scoppia la rivolta. Le SS quel giorno avevano intenzione di sterminare circa 5mila uomini, donne e bambini, tra rom, sinti e manush.
Le condizioni di vita nello Ziguenerlager, l’unico settore del campo dove le famiglie non erano state divise, erano pessime: tifo, vaiolo e dissenteria avevano già causato la morte di molti “zingari”. Alla fine di marzo, le SS avevano ucciso nelle camere a gas circa 1.700 rom, giunti pochi giorni prima dalla regione di Bialystock (Polonia nord-orientale) e il 16 maggio gli amministratori del campo avevano deciso di liquidare tutti i reclusi dello Zigeunerlager.
Le guardie delle SS circondano quel settore per impedire fughe. Ma quando viene ordinato di uscire ordinatamente dalle baracche, i rom e i sinti opponengono un inaudito rifiuto. L’ufficiale in comando, Schwarzhuber, chiama a rapporto il Blockälteste che risponde: “Sono presenti 370 prigionieri!”. “Dobbiamo trasferirvi”, dichiara Schwarzhuber. Ma di nuovo nessuno si muove. Erano stati avvertiti da un deportato politico polacco – racconta lo storico Luca Bravi –, Tadeusz Joakimoski, e si erano armati di sassi, ferri da calza, pezzi di legno acuminati, spilloni, cucchiai affilati, tubi di ferro, vanghe e altri attrezzi usati normalmente per il lavoro.
Così, ricostruiscono l’accaduto Alessandro Cecchi Paone e Flavio Pagano in La rivolta degli zingari, Auschwitz 1944,Milano, Mursia, 2009: “a quel punto l’ufficiale perse la pazienza e mise mano al frustino. Cominciò a colpire a casaccio, mentre uno dei soldati afferrava per i capelli una ragazza, cercando di trascinarla fuori. Lei urlò e quel grido fu come uno squillo di tromba: improvvisamente i prigionieri insorsero, venendo a una vera e propria colluttazione con i soldati, che furono costretti ad arretrare. Si sentirono due colpi di fucile, e per un attimo fu il fuggi fuggi, ma i colpi erano stati sparati in aria. Schwarzhuber gridò agli zingari che, se non avessero obbedito immediatamente, le baracche sarebbero state date alle fiamme. Si sentirono altri spari isolati, poi una raffica di mitra. Ma i prigionieri non cedevano e anzi l’onda della rivolta, partita dal Block IIe, cominciava a estendersi in tutto il lager, coinvolgendo i settori degli ebrei e dei polacchi. Ovunque le baracche si illuminavano, ovunque si sentiva rumoreggiare: quella mostruosa città della morte, che contava oltre centomila abitanti, sembrava essere resuscitata ed era sull’orlo della rivolta. Schwarzhuber tentò di stroncare la ribellione sul nascere, e ordinò ai suoi di aprire il fuoco, ma la reazione degli zingari fu talmente violenta che le SS furono costrette a un ulteriore ripiegamento. Vedere i gagé indietreggiare, moltiplicò l’esaltazione dei prigionieri, che ora sembravano capaci di tutto […] I Tedeschi si riallinearono intorno alle baracche, ma senza sparare, temendo che, se anche avessero falciato la prima fila di attaccanti, gli altri avrebbero potuto impadronirsi di qualche arma automatica. Cosa sarebbe successo se, invece di una spranga, uno di quegli uomini avesse avuto fra le mani un mitra? […] Sentendo che la situazione gli era sfuggita di mano, Schwarzhuber afferrò il megafono e annunciò che il trasferimento era sospeso: tutti potevano rientrare nelle baracche”.
Cosa accadde quel giorno lo descrive anche il “Kalendarium” di Auschwitz-Birkenau, il “menabò” quotidiano degli avvenimenti nel campo di concentramento: “Verso le 19 nel campo BIIE è ordinata la Lagersperre. Davanti al campo arrivano alcuni autocarri da cui scendono SS armati con fucili mitragliatori. Il Comandante ordina agli zingari di abbandonare gli alloggi. Dato che sono stati preavvisati, gli zingari armati di coltelli, vanghe, leve di ferro e pietre, non lasciano le baracche. Sorpresi le SS […] dopo una consultazione […] lasciano il campo BIIE.”
Il massacro è sospeso. Circa 2000 rom vengono trasferiti in altri Lager e i 2.897 rimasti, bambini, donne e vecchi, vengono liquidati il 2 agosto.
Ma a noi piace ricordare che quelli “Untermenschen”, quelle donne e uomini di un’etnia tanto denigrata ancora oggi, deperita per la fame e il freddo, maltrattata dagli aguzzini, sfiancata dai lavori forzati, riuscì a reagire e ad alzare la testa per non arrendersi alla brutalità e alla morte.